IL PATTO DI FALSA NON BELLIGERANZA FRA EDUCAZIONE FISICA ED ALTRE MATERIE NELLA SCUOLA ITALIANA

Esiste una lotta sotterranea nella scuola italiana che è scatenata da programmi ministeriali un po’ troppo pretestuosi secondo i quali in ogni materia gli insegnanti dovrebbero fare i salti mortali per affrontare un programma che non è umanamente affrontabile nelle ore assegnate alle varie materie. Accade che questa lotta sotterranea venga giocata a colpi di “compiti per casa” o comunque di consegne di preparazione da rifinire a casa perché il tempo in classe è troppo ristretto (complice anche un calendario di verifiche piuttosto stordente che va a togliere ulteriore tempo alla lezione effettiva). Alla fine la cenerentola delle materie che subisce questa lotta è proprio l’educazione fisica che, già ristretta in due ore settimanali a scuola, non trova sbocchi all’esterno della scuola perché gli allievi sono già troppo impegnati a rifinire la preparazione scolastica in orario extrascolastico.

Ora se partiamo dall’assunto che qualsiasi studente dai sei anni fino all’età dell’università non è il caso che sia gravato di un carico complessivo settimanale di impegni fra scuola e compiti superiore a 45/48 ore  se ne deduce che nella scuola italiana sono stati fatti male i conti proprio con riferimento all’educazione fisica e sportiva.

L’equivoco di fondo nasce dal fatto che mentre tutte le materie hanno questo vizio di “allargarsi” prevedendo un surpluss di impegno oltre a quello scolastico da parte dell’allievo anche con l’integrazione a casa tale surpluss non è previsto esclusivamente per l’educazione fisica e sportiva.

Il patto di non belligeranza fra educazione fisica e altre materie che per consuetudine informa i rapporti fra insegnanti di educazione fisica ed altri insegnanti nella scuola italiana forse non è troppo proficuo, come minimo è almeno falso e anche se è funzionale al mantenimento di buoni rapporti fra gli insegnanti nella scuola alla fine si rivela deleterio per la salute e le esigenze di movimento dei ragazzi.

Un conto abbastanza semplice può farci capire l’incongruenza della situazione attuale. Se la quota di attività fisica ideale può essere all’incirca un terzo del totale lasciando perdere il modello americano che appartiene ad un’ altra cultura e punta su un più semplice fifty-fifty allora le ore di attività fisica settimanali potranno essere solo 15 circa a fronte di 30 ore passate sui banchi.

Premesso che nella nostra scuola 30 ore di banco uno studente se le fa già dalla prima elementare per poi non perderle più in ogni successivo grado di scuola, se ne deduce che se si vuole lasciare spazio per le 15 ore di educazione fisico sportiva non ci sarà tempo per nessuna integrazione dei programmi di studio in orario extrascolastico.

In sintesi, quello che non si riesce a fare a scuola, dove sono previste solo due ore di attività motoria alla settimana dovrà essere fatto a casa dove in realtà non sarà a casa ma verosimilmente in una struttura sportiva più o meno distante da casa da raggiungere in qualche modo con un ulteriore aggravio in tempo dedicato.

Questi semplici conti che non bisogna nemmeno aver studiato molta matematica per essere in grado di fare, nella scuola italiana non vengono fatti e così accade che ci lamentiamo perché ci troviamo con una gioventù sedentaria, con giovani che a vent’anni hanno già la panzetta dei quarantenni e che anche senza pancia hanno comunque capacità motorie che non sono certamente quelle di un ventenne sano e normalmente allenato.

Non ci vuole molto a capire che nelle due ore di educazione fisica fatte a scuola c’è a malapena il tempo per programmare con una certa razionalità cosa fare nelle ore pomeridiane dove si può effettivamente affrontare un concreto programma di preparazione fisica. Purtroppo nella scuola italiana questo è un linguaggio non comprensibile perché molti studenti destinano le ore del pomeriggio a integrare la preparazione scolastica della mattina e quelli che per fortuna riescono ad affrontare un’attività sportiva non si sognano minimamente di collegare quella con quanto fatto a scuola. L’educazione fisica “non belligerante” fatta a scuola è completamente avulsa dalla realtà sportiva nella quale è inserito lo studente e questa separazione è ancora una volta funzionale al mantenimento di una “non conflittualità” con le altre materie perché in realtà l’attività sportiva è sempre in conflitto con tutto quanto si fa a scuola. Ne consegue che in Italia un effettivo, concreto ed apprezzabile impegno nell’attività fisica invece di avere valore curriculare nella formazione dello studente va a far parte di un qualcosa di totalmente avulso e purtroppo concorrenziale nei confronti dell’istituzione scolastica del quale l’insegnante di educazione fisica per quieto vivere si disinteressa quasi totalmente.

Purtroppo non si vede lo spiraglio in un futuro imminente di un cambio di prospettiva perché c’è un retroterra culturale atavico di difficilissima rimozione secondo il quale lo studente italiano in una settimana si fa circa 30 ore di scuola (di cui 2 di quasi finta educazione fisica) poi a casa integra con 10-15 ore di ulteriore studio perché la maggior parte degli insegnanti non riescono ad affrontare compiutamente il programma solo grazie alle ore di lezione (e hanno pure l’onere di perdere ore ed ore in spesso inutili e grottesche verifiche) e poi se ha tempo e voglia si dedica per 4, 6 a volte addirittura 8 ore alla settimana in qualche attività fisica che non riesce a fare nemmeno con la dovuta concentrazione perché è praticamente stordito dagli impegni scolastici.

Questa è la cultura nella quale chi studia è bravo e chi non studia è un asino. E’ la nostra cultura, forse siamo un po’ troppo asini a non volerla cambiare ed a mantenerla così per il quieto vivere di una scuola che ormai appartiene al passato ma sta facendo danni nel presente.