IL GRANDE EQUIVOCO FRA INTENSITA’ E VELOCITA’ NELLA CORSA

Per un velocista capace di correre i 100 metri in 10″5 correre i 100 in 11″2 è una cosa veloce, perché per farlo deve toccare probabilmente una punta di 37-38 chilometri all’ora, però è una cosa meno intensa di ciò che si possa pensare e, in taluni momenti della preparazione, forse neanche utile per quel motivo.

Per un corridore di 10.000 metri capace di correre la distanza in 30 minuti correre un lungo di 30 chilometri in un’ora e 45 minuti non è molto veloce nel senso che corre ad un ritmo che è 30 secondi al chilometro più lento di quello che tiene nei 10.000 metri, però a differenza di quanto si possa pensare, è una cosa abbastanza intensa e, per questo, in alcuni momenti della preparazione poco consigliabile perché può andare a creare problemi di recupero di altre sedute di allenamento importanti.

Questa è la scoperta dell’acqua calda, ma scoperta che non tutti hanno fatto perché si continua a far confusione fra velocità ed intensità pensando che siano sinonimi quando non lo sono per niente.

Sviscerando un punto cardine che può riassumere la problematica si può dire che certe volte crediamo di toccare buone intensità solo perché stiamo correndo veloce mentre altre volte pensiamo di non raggiungere buone intensità solo per il fatto che stiamo correndo abbastanza piano. Così sovrastimiamo o sottostimiamo a seconda delle circostanze il carico di allenamento.

Il velocista ha una spada di Damocle che è la necessità di toccare di tanto in tanto intensità elevatissime altrimenti tende a scadere inesorabilmente di condizione. Dei velocisti del Nord Italia, ai miei tempi, si diceva che in inverno facevano finta di allenarsi perché con gli inverni rigidi e la mancanza di strutture al coperto raggiungere buone intensità in inverno senza farsi male era praticamente impossibile. Adesso la situazione è un po’ cambiata, anche perché con i cambiamenti climatici gli inverni del nord son o un po’ meno rigidi e allora si pone il problema della scelta dell’intensità per il velocista, un tempo quel problema non si poneva perché la scelta era obbligata.

Quanto al corridore di lunghe distanze il problema è più adesso che un tempo. Con questi stramaledetti cambiamenti climatici in piena estate o si ha la possibilità di allenarsi in luoghi freschi, o si cambia specialità oppure bisogna seriamente fare i conti con intensità che diventano pericolose anche per sedute che apparentemente sembrerebbero innocue. A 30 gradi e pure umidi qualsiasi seduta di corsa a lunga a qualsiasi ritmo diventa una cosa intensa e potenzialmente difficilmente recuperabile e bisogna soppesare bene questa cosa altrimenti si rischia di andare fuori forma in tempi brevi più di chi con 30 gradi decide di darsi alla briscola ed al tre sette.

Insomma l’intensità del carico deve fare i conti con tanti fattori e non può essere misurata certamente solo in base alla velocità di percorrenza delle varie prove.

Soprattutto nel periodo di messa a punto della forma sportiva la scelta delle corrette intensità di carico è determinante e ovviamente è opportuno tenere presente che quando queste aumentano bisogna un po’ contenere i volumi totali di carico altrimenti si va incontro a quel fenomeno sempre più diffuso che è il sovrallenamento che si può leggere abbastanza bene in uno scadimento anche piuttosto repentino dei risultati a fronte di allenamenti più impegnativi e che molti atleti fanno finta di ignorare perché tanto con l’ausilio farmacologico si pone rimedio a tutto.

Dal mio punto di vista il fatto che alcuni allenamenti intensi portino ad uno scadimento delle prestazioni vuol dire senza dubbio che c’è una scelta sbagliata fra intensità e volume di carico ed il fatto che con i farmaci si possa porre rimedio a questi problemi per conto mio non dovrebbe essere un’opzione perseguibile da un tecnico coscienzioso. Se poi il medico diventa figura essenziale nella preparazione dello sportivo allora vuol dire che di centrare la giusta preparazione ce ne frega fino ad un certo punto perché ci sono strade più brevi, più facili e per certi versi più “sicure” per giungere al risultato.

Ho virgolettato non a caso quel “sicure”. Ormai al giorno d’oggi l’atleta di alto livello che non considera l’implementazione farmacologica viene considerato uno svitato un po’ naif e terrorizzato dai medici stessi che gli dicono che in quel modo può farsi male. Purtroppo è anche vero perché con grandi carichi di allenamento è molto più facile farsi del male senza assistenza medica che non con un’adeguata assistenza medica.

C’è da dire che se vogliamo essere pignoli possiamo evolvere nel modo migliore le tecniche di allenamento solo senza usare i farmaci perché con l’uso di quelli non sapremo mai quanto ha fatto l’allenamento e quanto ha fatto il medico.

E’ giusto ammettere che ormai siamo arrivati a protocolli talmente diffusi che lo svitato è chi li evita e non chi li accetta. Così operare solo speculando su quantità e qualità del carico è diventata un’ opzione solo per pochi eletti che fanno attività ad alto livello senza avere necessità di reiterazione del risultato di vertice. I tempi cambiano. Un tempo rischiava chi usava i farmaci adesso rischia di più chi non li usa. Ma è un rischio affrontabile se ci si allena con molta attenzione e nel lungo periodo forse anche più gestibile nella preparazione rispetto alla preparazione di chi senza medico ormai non va più da nessuna parte.