I DANNI DELLA SOLUZIONE “MIRACOLISTICA”

Spesso gli atleti alle prese con un infortunio sono a caccia della cosiddetta soluzione “miracolistica”. Se questa soluzione auspicata fosse davvero “miracolistica” nel senso letterale della parola io dico che non è neanche male nel senso che allora ha a che fare con la religione e qualsiasi sia la religione che prevede questo tipo di soluzione a me sta bene, trovo che sia una cosa apprezzabile e comunque non sono certamente io che devo valutare l’attendibilità e l’opportunità di una cosa così grande.

Invece nella maggior parte o nella quasi totalità dei casi questa soluzione “miracolistica” è miracolistica solo in senso metaforico nel senso che ci si affida ad un fisioterapista, ad un osteopata, ad un massaggiatore o a qualsiasi altro santone per risolvere un problema che è essenzialmente di allenamento e non di recupero fisico.

Questo avviene un po’ per pigrizia e un po’ per ignoranza. Non si è in grado di capire che molte strutture sotto stress possono comportarsi come strutture malate anche se non lo sono se il carico di allenamento al quale sono sottoposte è molto gravoso. Attenzione che quel “molto gravoso” e un molto gravoso estremamente specifico che riguarda particolarmente quel tipo di struttura, pertanto l’atleta può pensare di somministrare al proprio organismo un carico abbastanza contenuto e fisiologico e per la quasi totalità del proprio organismo è proprio così ma con riferimento ad una certa struttura un po’ più debole purtroppo non è così. Si attende allora la soluzione miracolistica per quella struttura, la terapia o il preciso esercizio fisico che in poco tempo, magari pochi giorni, sistema quell’articolazione e la mette al passo delle altre come se nulla fosse.

Quella soluzione, che sia lasciata nelle mani di chiunque sia, finisce sempre per provocare danni e dilatare i tempi di adattamento della struttura perché per colpa dell’auspicio di quella soluzione si finisce per perdere di vista l’obiettivo principale che è il graduale adattamento della struttura con carichi estremamente specifici di allenamento.

E così si finisce per prodigarsi in pause troppo lunghe pensando che il riposo assoluto sia un toccasana per quel problema quando nel 95% dei problemi articolari una pausa più lunga di una settimana finisce per peggiorare il quadro clinico. Oppure ci si inoltra in “protocolli” (i famosi protocolli…) di riabilitazione che ti fanno perdere un’ora e mezzo al giorno e dove, per carità, se non fosse altro che per il calcolo delle probabilità, dentro a quello stramaledetto protocollo qualche esercizio veramente utile per fortuna c’è, ma così si finisce anche per perdere un sacco di tempo che potrebbe essere dedicato alla preparazione specifica che aiuta e risolvere direttamente quel tipo di problema invece di seguire la strada più lunga.

Altre volte invece si finisce per assumere farmaci miracolosi che talvolta qualche effetto lo fanno davvero essenzialmente perché hanno dentro qualche analgesico che riesce ad anestetizzare la parte ma se un problema concreto esiste non lo si risolve certamente così. Oppure c’è la lunga teoria delle terapie riabilitative che fanno la fortuna dei privati che mettono a disposizione le macchine che la sanità pubblica non è in grado di offrire a tutta la popolazione. E lì andiamo su un capitolo spinoso che riguarda ben altri ambiti che quello della riabilitazione dello sportivo.

Ma è proprio su quel termine “riabilitazione” che io contesto l’aspettativa “miracolistica”. Questa situazione viene definita comunemente come una situazione di riabilitazione quando invece, in presenza di articolazioni mediamente sane, è una vera e propria situazione di “mancato adattamento” e pertanto una situazione che necessita di nuove e particolari strategie di allenamento e non di protocolli riabilitativi.

In sintesi il concetto è che l’atleta deve pazientemente, anche aiutato dal suo allenatore, tentare di capire se stesso e cercare quelle situazioni di addestramento che lo possono tenere lontano dal fisioterapista il quale può effettivamente intervenire e non certamente in modo “miracolistico” quando c’è un concreto problema che non riguarda l’adattamento della struttura ma l’integrità della stessa danneggiata da un qualsivoglia evento di origine traumatica. I microtraumi ripetuti provocati da errori di carico in allenamento non fanno parte di questa categoria e non c’è alcun intervento medico che possa favorire la loro reiterazione senza che nel lungo periodo non si patiscano conseguenze.

Dunque bando alla pigrizia e al malvezzo di mettere la propria salute nelle mani altrui anche quando non necessario, il processo di allenamento non è mera reiterazione dei carichi senza riflettere sugli stessi ma è anzitutto attenta ponderazione sulla razionalità degli stessi per poter centrare sempre i migliori adattamenti possibili senza mettere sotto stress strutture che noi dobbiamo conoscere perché appartengono a noi stessi. Il miglior medico di un atleta è proprio l’atleta stesso perché è lui che sa cosa ha combinato con il suo organismo e deve avere la tempestività di correggere la sua preparazione prima che faccia danni.

Da questo punto di vista ci tocca dire che l’attività sportiva può essere pure pericolosa se non abbiamo l’attenzione di capire come agisce sul nostro fisico e pertanto torno al solito tormentone trito e ritrito che l’attività fisica non bisogna avere solo il tempo per praticarla ma pure quello per immaginarla a valutarne le conseguenze. Anche se andrebbe fatta tutti i giorni, come lavarsi i denti, però non è concettualmente proprio semplice come lavarsi i denti.