CURA DELLA DOTE MANCANTE O ESASPERAZIONE DELLA DOTE ESUBERANTE?

Trattando di essere umani e di sport non c’è dubbio: è più opportuno porre particolare attenzione all’ulteriore sviluppo delle doti già preesistenti che “perdere tempo” nella cura delle doti mancanti.

Non siamo dei robot e, se trattiamo di sport, e dunque cerchiamo l’ottenimento di un certo risultato agonistico e non una presunta “armonia strutturale” un po’ astratta ci conviene insistere laddove il nostro alfabeto motorio è attrezzato ed ha i numeri per tradurre velocemente ogni stimolo motorio più che andare a sbattere la testa contro il muro in improbabili imprese di “rivoluzione” motoria che magari implicano pure dei cambiamenti strutturali consistenti.

Il velocista reagisce bene a tutti gli stimoli che migliorano la velocità, il resistente reagisce bene a tutti gli stimoli che migliorano la resistenza. A volte, addirittura, per capire se un certo soggetto è un veloce o un resistente si somministrano stimoli allenanti diversi ed in base alla reazione a quelli si decide se indirizzare l’atleta verso le discipline di velocità o quelle di resistenza. Premesso che il vero ibrido fa fatica ad esistere (in atletica sarebbe l’ottocentista, tanto per dire, che è sia veloce che resistente oppure né troppo veloce né troppo resistente a seconda dei punti di vista…) alcuni atleti hanno comportamenti un po’ controversi. Sarà proprio l’allenamento a schiarire le idee sul funzionamento di questi soggetti perché a lungo andare quelli che reagiscono meglio a stimoli allenanti di tipo esplosivo potranno essere considerati dei veloci mentre quelli che reagiscono meglio a stimoli allenanti basati più sul volume di carico potranno essere considerati dei veri resistenti.

Questa cosa avviene anche per altre doti motorie e così i soggetti elastici reagiscono molto bene alle esercitazioni indirizzate allo sviluppo dell’elasticità, quelli potenti reagiscono molto bene alle esercitazioni mirate all’incremento della forza e reagiscono talmente bene che a volte viene da pensare che siano addirittura anabolizzati da quanto i loro volumi muscolari aumentano in seguito a sedute di allenamento con i sovraccarichi quando magari il vero anabolizzato è il soggetto filiforme che non aumenta assolutamente la massa muscolare ma comunque reagisce in qualche modo anche agli stimoli allenanti che sviluppano la forza.

Togliamoci dalla testa l’idea di scoprire l’atleta anabolizzato in base ai suoi volumi muscolari. rischiamo di processare atleti che semplicemente si gonfiano facilmente e rischiamo di prendere dei granchi terribili con atleti che si potrebbe pensare che abbiano buttato giù di tutto tranne che anabolizzanti. Il sospetto di doping (senza sapere “quale” doping) ci può venire quando un atleta migliora improvvisamente in modo sensibile i propri risultati senza aver avuto alcun incremento delle capacità tecniche ma solo un improvviso miglioramento delle doti condizionali.

In ogni caso questi sono problemi di chi non si accontenta della normale preparazione fisica e si affida agli stregoni dello sport per migliorare le proprie prestazioni, trattando di soggetti più prudenti che preferiscono speculare sulle questioni della teoria e metodologia dell’allenamento sportivo conviene proprio porsi quesiti tipo quello se investire più tempo sulla cura delle doti mancanti o se sull’esasperazione delle doti già esistenti.

Queste domande sono utili perché in effetti l’atleta di alto livello ha bisogno di talmente tanto tempo per allenarsi che deve scartare tutte le ipotesi di sedute di allenamento scarsamente produttive.

In tema di preparazione alle corse di lunga durata si sono maturate a tal proposito delle convinzioni piuttosto sconcertanti. Un tempo si pensava che il maratoneta fosse quell’atleta che si ingolfa di chilometri, che deve correre più di tutti gli altri e più corre e meglio è anche a costo di correre in certe sedute di allenamento a ritmi molto blandi. Adesso si pensa esattamente l’opposto. Siccome il maratoneta svolge carichi di allenamento molto consistenti in volume, e rischia spesso di intossicarsi per eccessivo volume di questi carichi, è proprio per quel motivo che non può eccedere con la corsa veramente lenta. La vera capacità del maratoneta non è di reiterare carichi di corsa lenta all’infinito (dote che può essere semmai di chi corre la cento chilometri o anche la 24 ore…) ma quella di produrre un’ottima qualità di corsa per tratti molto prolungati fino alle famose due ore che, nell’alto livello sono appunto la durata della gara stessa.

Pertanto in questo caso insistere sulla dote già presente vuol dire migliorare quella capacità tipica del maratoneta di resistere molto con elevate qualità di corsa alle quali lui riesce a spendere molto poco per un insieme di adattamenti che deve continuare a perfezionare, Non serve che migliori di molto la sua capacità di correre forte i 100 metri anche se può tornargli utile da un punto di vista muscolare per prevenire certi infortuni, non serve che la sua capacità di produrre quel tipo di corsa di ottima qualità venga protratta per tre ore quando nella sua gara dovrà correre al massimo per due ore e qualche minuto.

Per assurdo questa dote occorrerà al tapascione della domenica che quando corre per due ore non è che a metà del suo gravoso impegno sulla maratona. Per certi versi la corsa di Maratona che è lunga 42 chilometri è più impegnativa per i tapascioni che devono stare sulle gambe per quattro ore che per gli atleti di alto livello che in poco più di due ore se la cavano. Poi accade che il tapascione corra anche dieci maratone in un anno avendo la sensazione di averle recuperate tutte splendidamente mentre l’atleta di alto livello ne corra solo due in un anno chiedendosi se una delle due forse non era il caso di evitarla per rendere meglio in quell’altra, E questi sono misteri dello sport sui quali è bene riflettere.

Alla fine è sempre il prodotto della qualità per la quantità di carico a determinare lo stress totale dell’attività ed è per quello che l’atleta di alto livello non può giocare molto con gli allenamenti cosiddetti “inutili”.

L’affascinante disciplina del Decathlon è illuminante a tal proposito. Nel Decathlon l’atleta punta ad avere il miglior perfezionamento tecnico nelle varie discipline perché sa che in quel modo non fa interferire le une con le altre e non distrugge cose utili per alcune discipline. Agli antipodi del decathlon possono essere considerate la corsa dei 1500, ultima delle dieci fatiche, e le gare di lancio. Se l’atleta migliora nei lanci incrementando solamente la massa muscolare si creerà certamente un problema nella gara dei 1500 e pure in altre gare quali il salto in alto e pure gli ostacoli. Al contrario se migliora nei 1500 semplicemente ottenendo un fisico più asciutto e meno pesante rischierà di perdere molti punti nei lanci per racimolare un pochino sui 1500. Così è costretto a cercare la miglior tecnica possibile nei lanci, lanciando bene il disco, il giavellotto ed il peso senza incrementare troppo i suoi volumi muscolari e così nei 1500 dovrà cercare di correre bene quella gara, magari con la miglior corsa possibile per poter resistere i tre giri e tre quarti dei millecinquecento metri senza perdere massa muscolare perché bruciare la massa muscolare non è certamente una buona idea per almeno sei delle gare del decathlon.

Ci si può chiedere come far coincidere questo concetto con quello dell’attenzione dello sviluppo della dote preesistente. Semplice: il decatleta deve avere delle grandiosi dote coordinative e queste le deve sviluppare sempre di più. E così non lancia bene il disco perché ha una grande massa muscolare ma perché ha una grande capacità tecnica di interpretare la disciplina del disco. E pure non corre bene i 1500 metri perché ha il tipico fisico del millecinquecentista ma riesce ad ottenere un tempo più che dignitoso su quella distanza perché fra le altre capacità ha anche quella di adattare il suo schema di corsa a quello necessario per correre bene una gara di 1500 metri pur non avendone il fisico ideale. Dunque lui è l’atleta che per eccellenza insiste sulla sua dote principale che sono le doti coordinative e rinuncia a colmare le varie “doti mancanti” perché sa che quello è un lusso che nella sua preparazione non può permettersi pena un continuo “fare e disfare” nelle varie discipline del Decathlon che richiedono doti diverse.

Il decatleta non è un superuomo ma uno che sa gareggiare benissimo in dieci discipline dell’atletica. Di più, riesce a fare questa cosa in due giorni restando debitamente concentrato per tutto il tempo necessario. Magari in bicicletta è un disastro, non gli è chiesto questo. E così il centometrista non è un superuomo ma uno che ha messo a punto tutte le doti per correre i 100 metri nel modo migliore possibile. Quasi di sicuro nella corsa dei 10.000 metri è un disastro se proprio riesce a finirla, magari a calcio non funziona proprio per niente e a pallavolo fa fatica a buttarla di là dalla rete. Il maratoneta di altissimo livello pure lui non è certamente un superuomo e molti maratoneti fanno fatica a gettare il peso oltre i 7 metri, misura che molti ragazzini privi di tecnica riescono a superare facilmente se solo hanno un fisico un po’ muscolato.

Lo sport è altamente specifico ed impone una grande specializzazione con un grande affinamento di doti tecniche particolari. Pensare di costruire il superatleta che primeggia in un tutto è pura utopia e progetto decisamente irrazionale. Da questo punto di vista una grande dote è l’umiltà. sappi che in molte cose sei un vero disastro, rassegnati a restarlo e concentrati su ciò di buono che sai già fare, lì potrai ottenere grandi soddisfazioni nonostante il tuo essere disastroso in molte altre cose…