Commento ad articoli sul doping

“Da quando è venuta fuori la storia della possibile esclusione degli atleti dell’atletica leggera della squadra russa dai Giochi di Rio ed è riesploso il caso Schwazer non fai che scrivere di doping. Sei monotematico (come tu stesso ammetti) anche perché attribuisci  tutte le colpe e le responsabilità solo all’antidoping. Ho capito che tifi per Schwazer e che la squadra russa non ti è certamente antipatica ma non puoi pensare che le uniche colpe siano quelle degli addetti all’antidoping. Loro fanno onestamente il loro mestiere e, al momento, non si è scoperto nessun altro deterrente a questo problema serio che, sempre come tu ammetti, è di portata molto rilevante e non riguarda certamente poche centinaia di atleti. Come sempre è facile criticare e distruggere tutto, molto più difficile è proporre soluzioni in modo costruttivo. Pare che la tua unica proposta sia quella di abolire l’antidoping, in quel modo il problema potrebbe anche aumentare a dismisura…”

Prendo atto ed incasso umilmente. Probabilmente la mia convinzione che siano maturi i tempi come minimo per una radicale riforma dell’Istituto dell’Antidoping dipende dal fatto che non sono convinto che sia facile andare peggio di così. In tema di informazione su queste cose siamo all’anno zero, infatti se il mio lettore che ha formulato una critica molto precisa, fosse ancora più preciso osserverebbe che io ho criticato duramente tutti i giornalisti che, più o meno, sanno come funzionano le cose ma continuano a scrivere che il problema è di questo o di quell’atleta che sono risultati positivi. I casi di positività sono la punta dell’iceberg e quando si sa che questa è la condizione di partenza è quanto meno ipocrita colpevolizzare ulteriormente i pochi disgraziati pescati positivi, anche perché quelli, molto spesso, non sono nemmeno quelli che si dopano più degli altri, sono solo assistiti in modo maldestro.

I numeri del doping nel mondo sono impressionanti. Non è un fatto italiano, russo o che so di che altra nazione, è un fatto decisamente globale. Quando dico che i paesi dove la fame è ancora presente sono più di quelli che non hanno ancora dopato i loro atleti sono convinto di non dire una bugia, anche se non ho dati alla mano certi perché tutto è rigorosamente secretato. Senza fare una patetica lista degli stati buoni e cattivi che non ha nessun senso, sulla base dei dati del consumo di certi farmaci nel mondo si può tranquillamente ipotizzare che nel mondo gli atleti professionisti e non, che fanno uso di sostanze dopanti siano poco meno di un milione. Una cosa che io sottolineo è come a fianco a questi atleti che, se l’antidoping fosse infallibile, potrebbero cascare nella lista dei “cattivi” vi sia un numero probabilmente doppio di atleti che usa in modo indiscriminato alcuni farmaci per aumentare il rendimento sportivo. Questi non potranno mai risultare positivi all’antidoping perché adoperano prodotti leciti, questi sono quasi di sicuro più di un milione e così viene fuori che l’uso non del tutto razionale e sicuro di farmaci per aumentare il rendimento sportivo nel mondo coinvolge probabilmente qualcosa come tre milioni di sportivi. Sono cifre allucinanti. Ci costringono ad ammettere che tale numero conferma l’idea che il fenomeno non sia circoscritto solo all’ambiente dei professionisti dello sport ma coinvolga anche sportivi dilettanti che non hanno nessuna motivazione di ordine economico nella ricerca del miglioramento dei risultati sportivi. Io questo aspetto l’ho spesso trascurato perché sono convinto che se riusciamo a far chiarezza sullo sport di alto livello automaticamente facciamo informazione anche per lo sport di base.

Ritengo una disputa pietosa star lì a dire se siano più i dilettanti coinvolti in questo problema o i professionisti. I dilettanti rischiano di più e sono pure i più folli se è vero che il miglioramento dei loro risultati non può minimamente ripagare in termini economici i rischi ai quali si espongono.  C’è anche da dire come i dilettanti caschino più facilmente nella rete dei controlli che sembra tenuta in piedi solo per loro. Pare un atteggiamento di rassegnazione questo nel quale si ammette: “Certo, dei professionisti ne prendiamo una minima parte ma con i dilettanti riusciamo ad essere abbastanza incisivi…”. Così a fine anno ogni federazione sportiva potrà vedere che la maggior parte delle sospensioni per doping riguarda atleti di basso profilo e tale constatazione potrà anche andare a sostegno dell’ipotesi che “Gli atleti di alto livello sono molto controllati”.

Il doping,  purtroppo diffuso anche a livello amatoriale, è esasperato nei suoi aspetti soprattutto a livello di atleti professionisti dove l’incremento del rendimento sportivo è decisivo per includere un certo atleta nell’elite di quelli che contano o per escluderlo da quella elite.

La critica alla mia critica distruttiva è più che fondata. Io dico che questo antidoping non funziona perché crea problemi gravi ad una elite di malcapitati che rappresenta meno dell’uno per cento della popolazione degli atleti che a vario titolo, si confronta tutti i giorni con questo serio problema. Il restante 99% non può far finta di niente perché anche se ha elevate possibilità di restare indenne da sanzioni di alcun tipo ha comunque a che fare con una medicalizzazione dello sport di alto livello che mai come al giorno d’oggi è stata esasperata.

Per alcuni questo non è un problema ma un vantaggio del progresso della medicina che può limitare i danni di preparazioni sportive sempre più pesanti che non monitorate con attento controllo medico possono risultare molto pericolose anche senza l’ausilio di nessun farmaco.

Questi sono certamente aspetti da valutare, in ogni caso per problemi etici, morali, ma anche di informazione è opportuno rompere il  muro di omertà che si erge sistematicamente attorno ad ogni caso di atleta trovato positivo. E’ come se quell’atleta fosse stato attaccato dalla peste bubbonica e si ha una paura terribile che parli. Nessuno l’ha mai conosciuto, non sanno nemmeno che praticasse sport ad alto livello…

La questione è certamente aperta, sono da valutare tante strade percorribili, mi auguro che non venga confermata questa dove l’imperativo è scandalizzarsi contro chi è caduto vittima dei controlli. Un antidoping che trovi positività anche nel solo 10% degli atleti che fanno uso di sostanze dopanti costerebbe alcuni miliardi di dollari all’anno. Sono cifre impensabili anche perché a quel punto il problema non sarebbe certamente risolto ma avremmo solo ulteriormente storpiato lo sport spettacolo senza fare informazione. Per conto mio la via non è quella, definire quale sia la via giusta è molto difficile ma mi pare pure assurdo non cercarla perché nel cercarla rischiamo di ammettere l’inefficienza dell’antidoping. L’importante, come ripeto sempre in modo monotematico da vecchio rimbambito, non è la bella immagine dell’Istituto dell’Antidoping ma la salute degli atleti.