Commento a “E se il metodo direttivo…”

“Ho letto con attenzione il tuo ultimo articolo sull’ipotesi che il persistere del metodo direttivo non sia altro che il risultato di una forte resistenza al cambiamento. Penso di aver capito dove vuoi andare a parare ma temo che tu abbia fatto un po’ di caos come al solito. Sembra quasi che inneggi ad una cultura dei diritti su una cultura dei doveri  più che tentare di far capire che ci possono essere più punti di osservazione. Forse dovevi concentrarti di più sull’aspetto qualità dello studio come certamente ritenevi importante focalizzare l’attenzione sull’aspetto qualità del movimento e il parallelo fra le due cose ci sta certamente. Sarebbe molto importante diffondere un concetto di miglioramento della qualità nello studio nella scuola. Così come dici che non si può fare attività fisica per dimagrire, anche se questo è il  messaggio che manda la televisione, non ha nemmeno senso studiare solo per il pezzo di carta.

Ma così come l’atleta vero non ha bisogno di nessuno che gli dica che se è interessato a migliorare il suo record sui 100 metri il peso c’entra gran poco ed anzi potrebbe addirittura aumentare se la massa muscolare aumenta in modo considerevole, anche lo studente che studia davvero sa benissimo che studiare da pagina “X” a pagina “Y” potrebbe non servire proprio a nulla per un certo tipo di apprendimento. L’uno è animato dalla voglia di migliorare le sue prestazioni fisiche l’altro dall’ambizione di aumentare le sue conoscenze, sono comunque due atteggiamenti sinceri che non ammettono scorciatoie. E allora la pigrizia alla quale accenni tu è quella di chi fa attività fisica solo per rientrare in un certo peso ma poi dell’attività fisica non gliene interessa nulla così come di quello studente che studia per diplomarsi o laurearsi ma in realtà degli aspetti profondi della materia che va a sviscerare non gliene interessa gran tanto. In questo senso posso capire una tua critica al metodo direttivo che può certamente avere delle lacune ma come l’hai messa giù tu sembra quasi una scusa per smontare una presunta cultura dei doveri…”.

 

Ma in effetti io provo ad affrontare dei concetti e poi sono assolutamente privo di una chiarezza espositiva che anche per la mia professione sarebbe molto importante.

Non volevo inneggiare a nessuna cultura dei diritti in contrasto ad una presunta cultura dei doveri. Anzi in tal senso mi sento perfino un “bacchettone” perché ritengo che ogni individuo dovrebbe essere animato dal sano istinto di sentirsi “obbligato” a tentare di capire il mondo che lo circonda ed a rilevarne le incongruenze e le contraddizioni.

Sbagliate o giuste che fossero le istanze dei sessantottini ritengo che dopo quel movimento si sia tornati molto indietro nel senso che l’impegno sociale dei giovani si è involuto notevolmente e sentendosi meno protagonisti della scena si sono messi un po’ ai margini. (sul fenomeno della droga ci si chiede se è nato prima l’uovo o la gallina: si è diffusa la droga perché era lo strumento migliore per metterli tranquilli oppure una gioventù già “sedata” politicamente ha trovato rifugio nella droga come fuga paranoica? Questo è un bel dilemma).

Tornando al campo specifico del movimento io rilevo come l’appiattimento culturale sia stato il risultato di una cultura del dogma e quindi strettamente correlata con il metodo direttivo. Premesso che più di trent’anni fa facevamo delle follie che non stavano né in cielo né in terra, non c’era praticamente nessuno che si allenava nello stesso modo di un altro perché tutti avevano l’ambizione di innovare, di scoprire qualcosa prima degli altri,  adesso i professionisti si allenano con lo “stampino” e se questo può mettere anche al riparo da certi rischi, che in ambito di preparazioni fisiche mostruose non si vogliono correre, è anche vero che si è perso quel sano spirito pionieristico che poteva portare davvero a scoprire qualcosa. Ci sono più campioni ma meno curiosi del movimento. La curiosità ha lasciato lo spazio all’esigenza di fare il risultato a tutti i costi. Può darsi che sia meglio così ma temo che questo atteggiamento se riportato anche nello studio in generale sia molto limitante e, comunque, con riferimento alla preparazione fisica ha prodotto  dei danni perché gli unici progressi che sono avvenuti nella teoria e metodologia dell’allenamento sportivo sono stati nel campo delle pratiche dopanti. Io ce l’ho sempre con l’antidoping perché dico che per colpa dell’ipocrisia di quello ci si è messi a studiare come a fare per dribblarlo ma forse dobbiamo pure ringraziarlo perché magari grazie a quello sono stati messi a punto protocolli farmacologici più sicuri. Una cosa è certa: mentre la farmacologia dello sport ha avuto uno sviluppo colossale, la teoria e metodologia dell’allenamento sportivo è rimasta ferma al palo. Forse dovremmo inventarci anche un’antinnovazione metodologica. Praticamente vietare una cosa è il miglior sistema per farla evolvere.