ASPETTI PSICOLOGICI DELLA “DECONTRAZIONE”

Quando parliamo di un atleta “decontratto” tendiamo a dare a quell’aggettivo un valore positivo e a caricarlo di significati che forse vanno un po’ oltre alla portata del termine. In realtà per decontrazione sottintendiamo quella muscolare e, per certi versi, un muscolo “decontratto” è un muscolo che non sta funzionando. il movimento si basa in effetti su una serie di contrazioni muscolari che attivano una catena cinetica che produce movimento, senza contrazione non c’è movimento, per funzionare il muscolo deve proprio contrarsi.

Allora lasciamo perdere per un momento l’aspetto tecnico vero e proprio della contrazione muscolare per andare ad analizzare invece gli aspetti lessicali e tentare di capire perché si vuole dare un valore positivo alla “decontrazione” perché quando definiamo “decontratto” un atleta gli stiamo facendo un complimento, perché in gergo, fra le mille frasi magiche degli allenatori oltre ai mitici “Alza le ginocchia”, “Usa i piedi” e “Completa la spinta…” si sente l’altrettanto mitico “Stai decontratto…”.

Al concetto di decontrazione è associato un concetto di padronanza del gesto, di non affanno, di controllo delle tensioni di corsa. Messa giù così la faccenda è già più credibile e ci si comincia a capire qualcosa. C’è indubbiamente un connotato psicologico nell’espressione e se la si volesse sostituire con un qualcosa di simile io ci proverei con un bel “Sta tranquillo, non spingere al massimo, corri più facilmente possibile…” Molto difficile dire “Stai decontratto” ad un soggetto che sta scappando da un leone inferocito, la situazione non da certo tranquillità e produce una grande ansia e quindi, presumibilmente, grandi tensioni muscolari. Forse scappare da un leone ci potrà dare qualche informazione sulla corsa veloce ma non ci chiarisce molto bene il concetto di “decontrazione”.

Per fare un esempio meno terrificante ma che forse ci può spiegare perché diamo un significato positivo a questa fantomatica “decontrazione” pensiamo al cofano di un’ automobile. E’ aperto ed ha un gancio che lo sostiene. Se vogliamo chiudere il cofano ed ha un gancio di quelli tradizionali non possiamo semplicemente spingere in basso il cofano, non si muove ed è bloccato e più spingiamo e meno effetti produciamo perché fin che non lo abbiamo liberato dal gancio ogni spinta verso il basso è una inutile contrazione improduttiva. Al contrario per liberarlo dal gancio dobbiamo spingere in senso inverso, dobbiamo sollevarlo ulteriormente verso l’alto e poi, appena è sbloccato non c’è da spingere proprio per niente per chiuderlo, basta lasciarlo andare verso il basso e si chiude da solo.

Non riesco a riportare questo esempio sulla fuga dal leone inferocito che per conto mio implica solo violentissime contrazioni muscolari e speriamo che siano sufficienti per metterci in salvo ma il gancio del cofano mi ricorda quanto avveniva alla mattina presto quando passavo, correndo, vicino a proprietà dove vi erano molti vivaci cagnolini piccoli. Non erano certo dei leoni quelli ma in certe circostanze credevano di esserlo. Un po’ come per il gancio del cofano, per poter restare decontratti bisognava esercitare un’azione inversa. più scappavi via e più ti correvano dietro e ‘sti bastardi, in gruppo potevano fare pure un po’ paura perché se ti pigliano un polpaccio non è molto divertente, allora bastava fermarsi e, meglio ancora, fare il gesto di corrergli dietro. Cambiavano idea e cominciavano a scappare.

L’atleta che vale 10 secondi netti e per ottenere un risultato significativo deve correre in 9″9 non potrà risultare “psicologicamente decontratto” perché al contrario sarà concentrato in una lotta spasmodica per rendere proprio al massimo, più ancora delle sue possibilità. Chi invece vale 10″ netti e sa che può correre anche in 10″6 per centrare un certo obiettivo sa che ha margine e potrà proprio correre con questa proverbiale decontrazione psicologica. Poi è bene fare un distinguo per non perdersi nel concetto che basta essere “sicuri” per essere decontratti. Non è del tutto vera questa cosa anche se una buona fiducia nelle proprie capacità prestative è un ottimo ingrediente per la decontrazione. Ci sono atleti che anche quando corrono abbastanza al di sotto delle loro possibilità massimali danno ancora un senso di notevole contrazione, al contrario ci sono atleti che appena mollano un attimo l’acceleratore sembra che stiano viaggiando in folle.

Questa cosa dipende anche da caratteristiche genetiche oltre che psicologiche e comunque, ulteriore interessante osservazione, a volte il, confine fra “decontrazione” ed eccesso di tensione è proprio labile. Trasparente questa situazione nel comportamento dei velocisti. un certo soggetto in batteria può correre in assoluta decontrazione in un tempo molto vicino al suo limite e poi in finale, solo per fare cinque centesimi meglio, cambia completamente registro. Siamo soliti motivare questa cosa dicendo che nel turno successivo l’atleta è più stanco ma anche la sola paura può cambiare completamente le carte in tavola.

Allora alla fine vediamo che dietro a questa impropria parola “decontrazione” nascondiamo significati diversi e anche piuttosto complessi. Da un punto di vista della contrazione muscolare vera e propria cambia ben poco ma dal punto di vista psicologico cambia abbastanza.

Mi è capitato di vivere questa situazione con riflessi sullo stomaco in presenza di particolari condizioni. Difficile dire che lo stomaco sia più o meno contratto però sappiamo benissimo che è un grande bersaglio di certe situazioni ansiogene e dunque, soprattutto se avevo pranzato da poco e lo stomaco era un po’ sovraccaricato, mi capitava di “sentirlo” non del tutto tranquillo. Ebbene per metterlo a tacere e renderlo meno protagonista della seduta di allenamento bastava cambiare obiettivi cronometrici. Una potenziale situazione ansiogena aveva messo lo stomaco sotto stress. Non si può dire che dipendesse esclusivamente dalle difficoltà digestive del pranzo perché se fossero state solo quelle il problema sarebbe persistito anche con obiettivi cronometrici diversi, Invece c’era una concomitanza di cause dove il pasto un po’ troppo vicino alla seduta di allenamento giocava la sua parte ma la situazione emotiva pure.

Nel ribadire i connotati psicologici di questa decontrazione e portarli ad uno sport di squadra dove le dinamiche psicologiche si esaltano particolarmente nel gruppo mi piace ricordare un incontro di calcio a 5 (sport dai forti contenuti emotivi) di una mia squadra giovanile che non potendo partecipare al campionato giovanile perché non organizzato nella nostra regione era iscritta in un torneo con giocatori senza limiti di età con esperienza e capacità tecniche decisamente superiori a quello dei miei giocatori. Un giorno incontrammo la squadra prima in classifica che era praticamente di un altro pianeta. L’avevo vista giocare e avevo visto che a parte i minuti iniziali, appena andava in vantaggio iniziava ad andare a valanga e più gli avversari premevano per recuperare lo svantaggio e più giocavano facilmente. Insomma l’unica speranza era di bloccarli in qualche modo per innervosirli e non metterli in condizione di giocare subito facilmente in modo “decontratto” appunto.

Dunque parlai con i miei giocatori, chiesi un bagno di umiltà e sottolineai che “Quando questi vanno in vantaggio poi non ce n’è per nessuno, continuano a segnare e ti seppelliscono.”

Entrammo in campo molto umili. Ci impiegarono un po’ per andare in vantaggio ma andarono inesorabilmente in vantaggio. Diciamo pure che fino a quel momento in campo non si vedeva Davide contro Golia ma il peggio sarebbe arrivato ora. Chiesi ai miei ragazzi di stare tranquilli anche se erano sotto. In fondo le altre squadre da quelli lì ne pigliavano anche otto, noi ne avevamo già preso uno solo…

Contiunarono a giocare in quel modo e dopo un po’ arrivò anche il due a zero, non subito ma arrivò. E ancora non si vedeva Davide contro Golia ma era già due a zero. Stava per chiudersi il primo tempo e purtroppo arrivò anche il tre a zero, nonostante un discreto gioco. E’ chiaro che tre a zero dopo un tempo ti taglia le gambe però nell’intervallo fra il primo ed il secondo tempo giocai la mossa a sorpresa: chiesi di giuocare nello stesso identico modo. Il punteggio ci stava penalizzando ma il gioco non faceva schifo e l’importante era non farli dilagare, non concedere troppi spazi, non metterli in grado di giocare facilmente. Dissi che addirittura “sei a zero” ci poteva stare. Se il risultato di quel giorno, giocando al meglio, doveva essere sei a zero sarebbe stato sei a zero, amen. Tornammo in campo e teoricamente i decontratti dovevano essere loro, vincevano tre a zero. Invece per chi li aveva già visti giocare si vedeva che c’era qualcosa che non andava, non frullavano l’avversario come facevano di solito nella seconda metà di gara. Stavamo giocando anche meglio del primo tempo e restava tre a zero. Il miracolo avvenne sul tre a uno, tutto sommato meritato. Andarono nel panico perché era la prima volta che erano sopra solo di due gol contro una squadra di ragazzini che sembrava pure che non fosse neanche tanto aggressiva, il tre a due fu automatico, quasi senza fare nulla, ormai c’era una squadra sola in campo che era quella dei miei ragazzini, tranquilli “decontratti” che avevano preso solo tre gol da quella squadra schiacciasassi e stavano dimostrando che sapevano segnare pure loro. si poteva ipotizzare un congruo tre a tre, invece sull’azione del possibile tre a tre a poco dalla fine, palo, contropiede e 4 a 2 per i primi in classifica che esultarono come se avessero segnato a chissà chi.

Allora questa benedetta “decontrazione” può anche essere un fatto mentale e non è detto che sia appannaggio solo dei favoriti e dei più forti, tutt’altro. Dal mio punto di vista il più “giustamente” decontratto dovrebbe essere proprio il più debole che non ha nulla da perdere. Chiaramente se ha fretta di vincere perché non ha mai vinto nulla e perdere sempre annoia tutti perde un ottima occasione per essere più decontratto dell’avversario. Per chiudere il, cofano bisogna prima sollevarlo, poi va giù da solo.