ANCORA SULLE DIFFICOLTA’ APPLICATIVE DEL METODO M.A.E. : DUBBI SULL’IDENTIFICAZIONE DEGLI ASPETTI BIOMECCANICI DA SONDARE

Ho sempre sostenuto come valga la pena spendere del tempo della preparazione (io dico anche tanto) per applicare i principi della metodologia di allenamento cosiddetta “M.A.E.” (Metodologia di Amplificazione dell’Errore) messa a punto dal prof. Walter Bragagnolo e dai suoi collaboratori all’ISEF di Verona (un po’ la Lipsia italiana…) negli anni ’80. Penso che impiegare una fetta consistente del tempo dedicato all’allenamento su questa metodologia possa essere utile sugli atleti di quasi tutte le età, con particolare riferimento a quelli nell’età del massimo rendimento che hanno la necessità di mettere a punto in modo fine alcuni aspetti specifici delle abilità tecnico coordinative del loro preciso sport.

Quando dico “quasi” voglio dire che non intendo molto significativa l’applicazione del M.A.E. su ragazzini di età inferiore ai 14-15 anni per il semplice motivo che io a quell’età tendo a dare la precedenza all’aspetto della ricchezza dell’alfabeto motorio ed essendo il M.A.E. un metodo altamente selettivo con riferimento alle capacità coordinative può anche porsi in contrasto con l’esigenza di ampliare il più possibile l’alfabeto motorio. In una parola sono convinto che il M.A.E. sia molto utile per la specializzazione sportiva e pertanto per il miglioramento dei risultati tecnici quando questi contano davvero, sono meno convinto che tale metodica, che richiede grandi capacità di concentrazione all’atleta, abbia un grande significato quando l’aspetto ludico motorio è preponderante nella preparazione e deve esserlo se non vogliamo che il ragazzo ci mandi a quel paese già prima di aver terminato gli studi (cosa che accade un po’ troppo spesso in Italia perché i ragazzi italiani a volte interpretano l’attività sportiva come un ulteriore impegno oltre a quello scolastico, già abbastanza soffocante, invece che come una necessaria valvola di sfogo tanto più importante, appunto, quanto più la scuola, talvolta, non lascia respiro). Se su questo discorso con riguardo all’età minima dell’applicazione del M.A.E. sono un po’ rigido per mie contestabilissime convinzioni personali (in primis la necessità di “giocare” il più possibile con lo sport fino ad una certa età) per quanto riguarda l’applicazione del M.A,E. sugli atleti più stagionati, arrivando addirittura a quelli appartenenti alle categorie amatoriali sono più possibilista. Per amatori io intendo solo quelli un po’ su con l’età in quanto, sempre a mio parere, non può esistere sport amatoriale da giovani, è una contraddizione in termini, non sarai un professionista perché i tuoi risultati non ti garantiscono rimborsi spese da professionista, anzi forse devi pure pagarti la trasferta, ma fin che non hai passato l’età del massimo rendimento non puoi essere definito un amatore e se lo sei, sei in una condizione al limite del patologico perché denoti un pericoloso invecchiamento precoce. Anche per questi soggetti ritengo che non sia tempo perso ma sia comunque più difficile da applicare più sono strutturati gli schemi motori dell’atleta al quale è indirizzato il metodo. Per assurdo, trattando di atleti stagionati, penso che ci siano più possibilità applicative su quegli amatori che di sport hanno fatto gran poco nella vita oppure in quelli che ad una certa età si inventano attori di una disciplina sportiva che non hanno mai praticato. Quei soggetti partono con il vantaggio di non dover smontare nessuno schema motorio consolidato e pertanto hanno vita meno dura nell’applicazione del metodo. Un’ ulteriore precisazione sull’applicazione del M.A.E. per questo tipo di atleti riguarda il fatto che molti di questi atleti delle categorie amatoriali arrivano al campo con uno spirito un po’ fanciullesco, giustamente, visto che da vecchi si torna bambini e visto che hanno essenzialmente voglia di giocare con lo sport tanto per stare in compagnia possono anche non avere la pazienza necessaria per stare lì a studiare con l’allenatore, se esiste (perché molti, giustamente, vanno al campo proprio da soli, splendidi interpreti di un’anarchia di preparazione che ha sempre fatto bene allo sport…), complessi aspetti di un metodo di allenamento che purtroppo, anche se è molto efficace, può pure dare problemi di sovraccarico anche con volumi di allenamento ridotti perché promuove adattamenti significativi del gesto motorio.

Pertanto io dico “M.A.E.” sì, con prudenza per tutti quegli atleti che hanno la sana ambizione di migliorare il rendimento sportivo però la vera domanda è “Come?”. Come cavolo applico questo M.A.E. che, parafrasando sul nome della metodica, mi offre un “mare” di possibili soluzioni applicative? Qui entra in campo l’abilità, l’esperienza e la sensibilità del tecnico e pure la sua dimestichezza con l’applicazione del metodo perché un tecnico potrà anche essere affermato, molto preparato ed avere pure 40 anni di esperienza ma le prime volte, se non ha mai applicato il metodo, farà gli stessi errori di un neo laureato come facevamo noi negli anni ’80 quando il profe ci offriva il grappino se ci trovavamo sconsolati nei molteplici tentativi di applicare un metodo che ad un primo sommario esame poteva pure apparire facile da applicare.

Nel M.A.E. ci tocca proprio dire che “Chi ben comincia è a metà dell’opera” nel senso che una delle cose più difficili è proprio l’individuazione dell’aspetto coordinativo che vogliamo andare a sondare. Con il “M.A.E.” portiamo dei “rumori” ad un certo dettaglio del gesto tecnico. Ad essere pignoli dovremmo affermare che non è un metodo di amplificazione dell’errore perché, l’errore non lo conosciamo nemmeno all’inizio ed è solo una timida ipotesi, sarà proprio il M.A.E. a dirci se ciò che noi ipotizzavamo come errore è un vero errore o solo un atteggiamento essenziale ed irremovibile delle capacità motorie del soggetto che analizziamo. Se noi analizziamo un aspetto che non c’entra niente con la qualità della prestazione stiamo perdendo tempo e possiamo provocare chissà quale modificazione di quell’aspetto che non otterremo risultati apprezzabili. Al contrario, se abbiamo l’accortezza di individuare un aspetto coordinativo biomeccanico importante avremo notevoli possibilità di successo anche se scardinare un consolidato schema motorio pare impresa titanica e anche se l’atleta dopo poche sedute di allenamento dedicate a questa cosa va in crisi perché senza rendersene conto, sta caricando molto di più di quanto fa normalmente anche con carichi decisamente superiori in volume. Uno dei primi segnali che il M.A.E. sta andando a segno è che l’atleta si affatica. Questa cosa non ci deve spaventare ma non possiamo ignorarla altrimenti l’infortunio è dietro l’angolo e questo è uno dei motivi per cui un buon tecnico, con un buon occhio, in pochi secondi individua l’apetto utile da sondare e poi, se è un buon tecnico, ci impiega dei mesi per metterlo a posto perché tutto ciò che è tempestivo ed affrettato non ha molte possibilità di funzionare nello sport di un certo livello. Insomma la prima cosa importante per non perdere tempo è l’occhio dell’allenatore, la capacità di capire dove andare a parare ma la seconda, non meno importante, è la capacità di lavorare su questo aspetto con un’enorme prudenza senza affrettare i tempi. Purtroppo, come ho fatto capire all’inizio, con il M.A.E. non si gioca, anzi bisogna essere molto concentrati e se non è così tanto vale usare altre metodiche di allenamento più spassose e meno impegnative.

Facile intuire perché la messa a punto degli interventi con il M.A.E. deve essere oculata e ponderata, meno facile capire cosa deve sognarsi il tecnico per centrare al primo colpo o quasi gli aspetti del movimento utili da sondare. E qui purtroppo un breviario non esiste e il bagaglio di informazioni del tecnico oltre ad una elevata sensibilità saranno determinanti. Forse questo è il vero limite applicativo del metodo nel senso che ci sono in giro pochi tecnici addestrati ad interpretare il metodo.

Inutile ripetersi in sterili polemiche ma io sono convinto che l’eccesso di medicalizzazione dello sport abbia spostato l’attenzione su altri aspetti della preparazione che forse non meritavano tutta questa attenzione. Chi vuole applicare il M.A.E. è libero di farlo, non è una tecnica dopante, è giusto sapere che se il metodo è applicato male non funziona, può pure essere pericoloso per eventuali infortuni e dunque, da questo punto di vista, è molto più comodo far finta che non esista. Ci sono atleti di livello mondiale con lacune tecniche imbarazzanti. Forse questo è il vero miracolo della farmacologia applicata allo sport. Ma è un miracolo del quale, francamente, potevamo fare anche a meno.