AMPLIARE LE VEDUTE

Quanti squat “devo” fare, oppure quanti chilometri “devo” camminare. Forse, più che dare informazioni e risposte non molto opportune si tratta semplicemente di ampliare gli orizzonti. Se a uno che vi chiede quanti squat deve fare gli rispondete con un numero automaticamente avvallate l’ipotesi che la domanda sia corretta quando il problema è proprio nella formulazione della domanda perché gli squat non si “devono” fare ed i chilometri non si “devono” percorrere. Si “possono” eseguire gli squat e si “possono” accumulare i chilometri ma l’obbligo è una leggenda metropolitana causata dalla distorsione dell’informazione tanto di moda ai giorni nostri.

Semmai una domanda sensata potrebbe essere: “E perché mai dovrei fare degli squat o accumulare dei chilometri, quando durante la giornata devo già fare un sacco di cose che lo stile di vita occidentale mi impone come assolutamente obbligatorie se non voglio finire emarginato?” E questa è una domanda molto complessa alla quale è molto difficile rispondere ma dove forse almeno vale la pena ragionarci un po’ su, spendere un po’ di fatica per tentare di capire perché, per quanto rara e anticonformista, una domanda simile al giorno d’oggi può esistere e non è assolutamente insensata.

Al ristorante non chiedete “Cosa devo mangiare?” anche se manca poco che si arrivi ad una domanda simile e molti di noi si fanno proprio questa domanda a casa loro quando si cucinano il pranzo o la cena.

E’ forse proprio dal coercitivo e folle rapporto con il cibo dei giorni nostri che si è arrivati, per contagio, ad un rapporto con l’attività fisica che è terribilmente simile nella filosofia. Attività fisica come obbligo e non più come opportunità, abbiamo perso il gusto per il gioco. Forse, per certi versi, nell’attività fisica è anche peggio che nell’alimentazione. Nell’alimentazione un po’ di gusto per il gioco è rimasto ed è proprio quello che si vuole combattere perché lo si ritiene peccaminoso. Si è deciso che non si può più giocare con il cibo, che bisogna essere terribilmente seri e ligi al dovere e così si sono inventati i disastri. Perché le diete altamente coercitive sono dei veri e propri disastri che rischiano di alterare il rapporto con il cibo in modo irreversibile, per tutta la vita. Forse con una considerazione un po’ da psicanalisi (ma non voglio certamente scomodare la psicanalisi che non è materia di mia competenza per un’ altra materia che non è assolutamente di mia competenza che è la dietologia…) il vero gioco di oggi con il cibo sono proprio le diete. La gente “gioca” con le diete. Fa finta di affrontare il problema in modo serio con le diete ma in realtà ha sostituito l’arcaico gioco con il cibo con un nuovo gioco che è quello delle diete. In effetti se una persona cambia dieci diete in dieci anni mi rifiuto di pensare che non stia “giocando” con le diete. Se uno affronta la questione seriamente, una volta affrontato il problema con un dietologo e messa a punto una certa dieta in pochi mesi, la dieta è sempre quella fin che campi con i soli opportuni lenti e graduali accorgimenti dovuti all’invecchiamento che, nel lungo andare, procura una contrazione delle uscite.

Forse il problema del cibo è nato proprio quando abbiamo potuto cominciare a “giocare” con il cibo e forse proprio con il cibo non si può giocare. Un tempo non si poteva giocare perché non avevamo scelte. “O questa minestra o niente” e si mangiava meglio ed in modo più sano. Il benessere che ha portato a sconfiggere certe malattie ne ha portate di nuove. Mentre un tempo si trattava di difendersi da malattie dovute a carenza di alimentazione adesso si tratta di difendersi da malattie dovute ad eccesso di alimentazione. Siamo troppo ricchi? No, semplicemente spendiamo troppi soldi per il cibo come se fossimo morti di fame come tanti anni fa. La condizione economica è cambiata, la filosofia da morti di fame che arraffano il cibo dagli scaffali prima che finisca è rimasta.

Ma nell’attività motoria cos’è accaduto? Non c’è nessun gioco nel rinunciare all’attività fisica. Non c’è nessun gioco nel passare da una palestra all’altra chiedendo “Cosa devo fare?” ed è in quel senso che mi preoccupo e mi viene da pensare che la nostra condizione di fruitori del movimento sia addirittura peggio di quella di consumatori voraci di cibo spazzatura.

Se con il cibo in qualche modo giochiamo ancora, anche se facciamo finta di non giocare, con l’attività fisica abbiamo perso del tutto il gusto del gioco e vediamo l’attività fisica solo come un “dovere”. Di certo siamo disabituati a vedere l’attività fisica come un diritto e non siamo allenati a reagire alle privazioni di attività fisica con la dovuta energia. Se arrivasse una crisi economica tale per cui il cibo non si trova più sugli scaffali o una scatoletta di tonno costa come una giornata di lavoro, scoppierebbe la rivoluzione e ci sarebbe tutta la gente in piazza. Così non accade per modelli sociali che ci portano a mettere sotto i tacchi ogni forma di movimento. Diciamo che è colpa nostra, ed in parte è proprio colpa nostra ma non del tutto perché molti miei lettori ammettono che il problema dell’attività fisica ce l’hanno ma non riescono proprio a risolverlo nemmeno con tutta la buona volontà. Hai voglia tu a dire di andare a piedi o di andare in bicicletta ad un soggetto che non ha altre possibilità di movimento per motivi organizzativi e ad andare in bicicletta ha semplicemente paura mentre per trasferirsi a piedi ed in autobus sul luogo di lavoro è semplicemente impossibilitato per un ‘efficienza del trasporto pubblico che è paragonabile a quella di 40 anni fa.

Questi soggetti, quando finiscono in palestra dopo una lunga battaglia per trovare lo spazio nella loro giornata super problematica sono quelli che vanno poi a formulare la mitica domanda “Quanti squat devo fare?” dimostrando che hanno un concetto di attività fisica come “dovere”. Sono gli stessi che quando riescono ad arrivare da me al percorso della salute chiedono: “Quanti chilometri devo fare?”.

Si tratta di ampliare gli orizzonti, il cibo forse non è un gioco, ma l’attività fisica deve esserlo altrimenti perde una delle sue caratteristiche fondamentali per essere veramente salutare. Uno non “deve” camminare ma deve avere il gusto di farlo in una città che sia vivibile e consente che sia divertente andare per la città a piedi. Così come un cittadino “deve” avere il diritto di pensare che la sua città possa essere normalmente attraversabile in bicicletta senza rischiare la vita. A quel punto la domanda non è più “Quanti squat devo fare o quanti chilometri devo fare” ma quanta attività fisica “posso” fare perché se l’attività fisica diventa divertente il problema è non esagerare, come per il cibo. Al ristorante non chiedete quanto “dovete” mangiare.