In tecnica di corsa per giungere a risultati significativi si fanno provare vari tipi di corsa all’atleta e quando l’atleta sa già correre in modi diversi è a buon punto perché vuol dire che ha un buon alfabeto motorio e con quello può costruire nuovi schemi motori sempre più validi, sempre più efficaci. L’acquisizione di nuove informazioni utili per migliorare la tecnica di corsa avviene per confronto ed il risultato finale di quel processo di perfezionamento sportivo non è assolutamente prevedibile perché ognuno reagisce a modo suo in base alle sue caratteristiche fisiche. Una volta si usavano i mitici “Alza le ginocchia” e “Spingi di più” ma per fortuna ci siamo un po’ evoluti e nel mondo dello sport siamo più o meno tutti d’accordo che abbandonare l’idea di un unico modello di corsa ideale per tutti è stato un passo in avanti per le strategie di allenamento. In breve il metodo del confronto ha messo a segno importanti risultati e siamo diventati un po’ tutti più possibilisti abbandonando certezze che fino a poco tempo fa dilagavano sui campi sportivi. Qualcuno sostiene che questo sia un metodo di insegnamento un po’ più democratico e meno impositivo rispetto al precedente che si basava sull’idea che “l’allenatore sa sempre tutto” e deve semplicemente trasferire le sue competenze sull’allievo. Che sia democratico o meno abbiamo solo scoperto che per esempio per cambiare la tecnica di corsa sia l’unica strada percorribile e lo è talmente che bisogna andarci piano altrimenti l’atleta rischia di infortunarsi, rischia di andare in sovraccarico in breve tempo.
Insomma il dibattito ed i termini del problema si sono un po’ spostati. Prima il quesito era se ne valeva la pena di perdere un sacco di tempo a tentare di modificare la tecnica di corsa perché l’atleta perseguendo un unico modello ideale non imparava praticamente niente, non modificava la sua tecnica di corsa e se la modificava lo faceva in modo poco sensibile e probabilmente non in grado di condizionare l’efficacia della corsa stessa. Ora abbiamo capito che con il metodo del confronto è più facile cambiare la tecnica di corsa ma ci domandiamo se, soprattutto per un certo tipo di atleti, un po’ calcificati su certi schemi motori, tale opportunità non sia da valutare criticamente perché l’infortunio è sempre dietro l’angolo. Abbiamo scoperto la nuova arma ma ci domandiamo quanto sia utile usarla.
Io sono un grande sostenitore del metodo del confronto, metto semplicemente in guardia sui rischi di sovraccarico che può dare ma dico che ha decisamente una marcia in più sui metodi tradizionali di insegnamento. Fra i metodi tradizionali di insegnamento ce n’è uno che è praticamente agli antipodi del metodo del confronto che per fortuna si applica poco nello sport e però, purtroppo mi tocca constatare che esista ancora nel mondo della scuola anche alla luce dei fatti di questi giorni. E’ il metodo dell’apprendimento per “minaccia”. Metodo di una semplicità devastante che per conto mio però è molto antiquato e non ha molto senso in una società evoluta e democratica.
Il metodo per minaccia porta ad un grado di competitività esasperato e quello è il suo limite e forse la sua arma vincente al tempo stesso. In una società decisamente competitiva perseguire un metodo che porta ad un deciso aumento della competitività può anche avere un senso. Si tratta di capire se vogliamo avvallare un aumento netto di competitività o se invece non vogliamo andare a limitarla visto che in molti ambiti ne siamo immersi in modo esasperato. Io ho sempre sostenuto che un buon livello di competitività sia certamente utile e divertente nello sport mentre sostengo che nella scuola, soprattutto quella dell’obbligo, non sia altrettanto utile e soprattutto ben poco divertente.
Mi viene in mente un’applicazione del metodo della minaccia nello sport in un certo tipo di competizioni un po’ in disuso ultimamente (non a caso perché molti atleti, soprattutto fra quelli meno dotati non si divertono per niente a prendervi parte…) che si chiamavano “staffette all’americana”. Le staffette all’americana, inventate per far gareggiare in modo molto spettacolare gli atleti sulle distanze medio lunghe erano effettivamente molto spettacolari e divertivano il pubblico ma non erano altrettanto divertenti per gli atleti meno bravi che vi prendevano parte perché si vedevano esclusi nelle prime fasi della competizione. Nella staffette all’americana la minaccia grave era che l’atleta in ultima posizione alla fine di ogni giro doveva abbandonare la gara. Il vincitore era l’ultimo sopravissuto, una specie di Highlander non obbligato a stare in testa tutta la gara ma capace di non transitare mai ultimo e pertanto in grado di restare ben sveglio per tutta la gara senza mai perdere un momento la concentrazione, pena l’esclusione dalla stessa.
Questa minaccia provocava un agonismo continuo e senza fine per cui lo spettatore si divertiva un sacco a vedere alla fine di ogni giro questo scannamento continuo per sopravvivere. Insomma pareva fatta proprio per gli spettatori, una specie di cosa da gladiatori con uno spirito diverso dalla classica gara di mezzofondo dove un atleta se è molto sicuro di se può pure svegliarsi fuori nell’ultimo giro per andare a batterli tutti con gran noia dello spettatore che non è in grado di leggere nella testa degli atleti e pertanto è costretto a far da spettatore ad una pantomima che mostrerà i veri valori in campo solo nell’ultimo giro.
La scuola italiana è un po’ così, una specie di staffetta all’americana dove l’ultimo della classe rischia seriamente la bocciatura e non conta se sia riuscito a correre abbastanza forte o abbia corso piano perché sa che statisticamente un certo numero di allievi possono essere bocciati. Il voto è quella specie di cronometro ma più che altro un giudice che scandisce la posizioni che informa lo studente sul suo reale rischio di essere bocciato che non è come essere eliminati dalla competizione ma… quasi.
Capite che è un po’ un giochino da gladiatori anche questo e per un certo tipo di studenti (soprattutto per quelli che navigano solitamente nelle ultime posizioni) la scuola può risultare anche particolarmente stressante. Non c’è per niente da scandalizzarsi se in un contesto simile si sviluppano una serie di strategie, più o meno lecite, atte ad evitare la mannaia della “squalifica” o della bocciatura come dir si voglia. Sempre dove c’è un’alta competitività, al limite del patologico, si studiano metodi più o meno leciti per giungere al risultato e viene in mente lo sport di alto livello dove, pur di emergere, si fa ricorso anche alla farmacologia applicata allo sport (quello che una volta si chiamava doping ma adesso non si può più chiamare così altrimenti ti denunciano per calunnia…).
Questo sistema della minaccia fa anche capire perché per uno studente di rendimento medio basso sia un vero e proprio incubo capitare in una classe di secchioni. Per assurdo è più facile essere promossi essendo il meno peggio di una classe di disastri che il più scarso di una classe di secchioni. Qui si esplica in tutto e per tutto il sistema della terribile staffetta all’americana. In una classe di secchioni rischia anche chi ha un rendimento accettabile perché il ritmo è fatto da chi va più forte.
Nella scuola attuale, a differenza che in quella di 40-50 anni fa, comandano quasi sempre i professori ed è quella la principale differenza fra la scuola di adesso e quella di un tempo che ha reso la scuola ancora più competitiva e più difficile anche se non più qualificante (ed è quello il vero problema perché sarebbe necessaria, al contrario, una scuola meno impegnativa ma più qualificante). Un tempo c’era una specie di sistema di autoregolazione perché in una classe di ogni scuola di ordine e grado la maggior parte degli studenti non ci stavano ad abbandonare l’attività sportiva per ottemperare alle esigenze di preparazione scolastica. C’era una specie di patto di non belligeranza riferito a certi tipi di scuola che saltava su altri tipi di scuola ritenute intoccabili. Diciamo chiaro e tondo, chi si iscriveva ad un liceo classico se non era una cima si condannava a non avere il diritto a praticare una sana attività sportiva con continuità e tale cosa è talmente vera che ai campionati studenteschi (e non penso solo nella mia città…) la squadra del liceo classico era la squadra materasso, quella che qualsiasi squadra di istituto tecnico doveva battere per non essere sbeffeggiata. E del resto non era certo colpa dei ragazzi del liceo classico impossibilitati ad allenarsi perché troppo concentrati sugli studi.
Al giorno d’oggi la pur onorevole squadra del liceo classico di allora probabilmente vincerebbe i campionati studenteschi perché quel patto di non belligeranza con i professori è decisamente saltato e se un ragazzo con qualche problema di apprendimento non si autolimita nella pratica sportiva è molto facile che venga bocciato, che sia iscritto ad un liceo classico o anche a qualsiasi altro tipo di scuola che è diventata comunemente più impegnativa e competitiva.
Il sistema della minaccia impera nella scuola e sono convinto che non produca risultati esaltanti in termini di apprendimento anche se bisogna ammettere che come nozioni i ragazzi di oggi ne buttano dentro un’infinità.
Bisogna seriamente chiedersi se questa gran quantità di nozioni vanno effettivamente a migliorare la preparazione reale dei ragazzi perché il prezzo di questo atteggiamento è la diffusione di una mancanza di movimento patologica nella nostra gioventù.
Una razionalizzazione dei metodi di insegnamento sarebbe decisamente auspicabile perché purtroppo la scuola italiana deve fare i conti con questa emergenza perché ne è la prima responsabile.
E’ vero che mancano anche le strutture per fare sport ma questa non deve essere la scusa per tenere la scuola inefficiente così com’è. Se il ragazzo non ha l’impianto sportivo sotto casa deve avere il tempo per pigliare l’autobus e raggiungere l’impianto sportivo in tanta malora, senza avere incubi di rendimento scolastico non giustificati da questa realtà sociale.