STABILIZZAZIONE DEL RENDIMENTO SPORTIVO E… POESIA

Questo è un articolo che non volevo scrivere, o meglio volevo scriverlo ma non sapevo da che parte pigliarlo perché personalmente la stabilizzazione del rendimento sportivo è un argomento che mi da sui nervi e ritengo che sia l’antitesi dello sport. Lo sport è divertimento, distrazione, se arriviamo anche a stabilizzare la prestazione sportiva togliendone dunque imprevedibilità e pathos è la fine, diventa un lavoro come un altro dove l’importante è l’efficienza e lo sorprese non sono mai gradite.

E allora preferisco soffermarmi poco sull’aspetto negativo di quest’argomento come per esempio sul fatto che i farmaci vengono impiegati proprio per stabilizzare il rendimento e non per fare i miracoli come si faceva una volta ma proprio per questo mentre un tempo il trattamento farmacologico oltre che pericoloso  era saltuario ed estemporaneo, adesso per fortuna è meno pericoloso (secondo alcuni addirittura necessario per tutelare la salute dell’atleta, ma non sono assolutamente d’accordo, per tutelare la salute dell’atleta basta ridurre i carichi di allenamento…) ma, ahimè, sistematico e continuativo.

L’aspetto positivo di questa favella è che riguarda una ristretta elite di atleti perché alla maggior parte della stabilizzazione del rendimento sportivo non gliene frega proprio niente anzi se ne guardano proprio dall’innescarla perché la vedono come un pericolo e non come una cosa gradevole. Il perché è presto detto: stabilizzare il risultato può servire solo a chi offre già delle prestazioni di alto livello, con quelle prestazioni vince e fa vincere la propria squadra e pertanto cerca tutti i sistemi per riuscire a garantire un rendimento elevato con continuità. Chi non offre prestazioni di livello assoluto cerca esattamente l’opposto, cerca di rompere i suoi schemi motori che non sono sufficienti a garantire un rendimento ottimale e pertanto vuole proprio cambiare registro creando una netta discontinuità fra il suo rendimento abituale e quello ipoteticamente realizzabile, ciò anche a rischio di peggiorare il rendimento, tanto il gioco vale la candela, il rischio di peggiorare ulteriormente è un rischio tollerabile e non mette in crisi nessuno sponsor, se questo non esiste.

Guardo sempre meno lo sport televisivo ma sono continuamente affascinato da quello di medio e basso livello. E forse il motivo è proprio questo. Nello sport non di vertice c’è molta più imprevedibilità, i farmaci sono molto meno diffusi di quanto l’antidoping voglia farci credere rivelando soprattutto le positività di atleti di medio o basso livello (che o sono completamente svitati o molto più semplicemente non si curano di evitare di gareggiare quando assumono farmaci anche comuni per patologie comuni) ed il rendimento è necessariamente altalenante anche perché visto che questi atleti non si dopano in modo sistematico (ma è proprio il caso di dire che non si dopano, ripeto, il problema farmaci è di chi si allena tanto non di chi fa attività per la salute) non possono garantire una continuità di rendimento che non esiste nella normalità delle cose. In sintesi lo sport dei poveri è più poetico, più imprevedibile e, nonostante sia caratterizzato da prestazioni talvolta non eccelse, più affascinante.

Ricordo un calciatore di altri tempi, Gianfranco Zigoni, detto “Zigo-gol” un giocatore che al giorno d’oggi forse non farebbero neppure giocare in serie A oppure troverebbero gli espedienti per farne un grande campione ma non riuscirebbero a replicarne la leggenda perché Zigo-gol era leggendario proprio in quanto discontinuo ed in serie A poteva giocare solo in un club che ne accettasse la sua imprevedibilità. Zigoni alternava partite dove proprio non c’era speranza a partite dove sembrava Omar Sivori, ed era travolgente, entusiasmante ed, esagero, pure “poetico” così. Ha vissuto l’epoca del calcio che poteva andare bene a lui perché adesso il campione se non è una specie di robot non è un campione ed è per quello che mi annoio a guardare lo sport televisivo.

Il campione discontinuo è più simpatico, più umano e accende lo sport tenendo viva la competizione sportiva, ovviamente non è simpatico agli sponsor che non possono investire con sufficienti garanzie su di lui ma gli sponsor che dovrebbero avere la funzione di sostenere lo sport molte volte fanno solo l’effetto di reprimerlo andando a togliere imprevedibilità con dinamiche che le federazioni sportive dovrebbero riuscire ad evitare con norme particolari.

Il processo di stabilizzazione della prestazione sportiva, soprattutto di alto livello, è un percorso molto tortuoso e difficile da percorrere ma che offre grandi vantaggi, anche economici, al grande campione che può reiterare un gran numero di vittorie, purtroppo tale evenienza non fa crescere lo sport nel suo complesso che ha bisogno di un grande numero di attori e di protagonisti e non può vivere sulle vicende di un numero ristretto di predestinati.

Nel medio e basso livello dello sport l’alternanza fra protagonisti e comparse è molto più varia in primo luogo perché trattandosi di livelli prestativi non eccelsi non è difficile saltare qualche scalino fra un miglioramento e l’altro e poi perché siccome questi attori dello sport non possono assolutamente investire il becco di un quattrino sulle loro gesta sportive e pertanto sono assolutamente fuori da ogni approccio scientifico indirizzato all’ottimizzazione della prestazione sportiva accade che in modo del tutto imprevedibile a tratti emerga uno ed a tratti emerga un altro che nessuno si aspettava. Se la parola sport deriva da “distrazione”, svago, allora la vera distrazione è proprio questa perché ci presenta situazioni difficili da prevedere che molto frequentemente presentano uno strappo, una distrazione appunto, con situazioni appena precedenti che hanno disegnato quadri diversi.

Insomma per comprendere lo sport di alto livello per quanto complessissimo nella sua gestualità non occorre molto nel riconoscimento dei talenti che possono ambire al podio mentre se uno vuol seguire lo sport di livello più basso per comprendere la competizione è costretto ad informarsi su tutti i contendenti. Forse per la società televisiva dove tutto è premasticato questo è uno sforzo troppo pesante, e allora si sta attenti a non fare troppa fatica anche come spettatori. Occorrerebbero degli studi sociologici per capire se lo spettatore sorpreso consuma di più o di meno di quello che vede vincere il superfavorito. Se viene fuori che l’imprevedibilità scatena l’appetito magari potremmo sperare in uno sport che esce dal copione del campionismo e lascia spazio anche ai numeri due. Ma queste sono dinamiche che solo i grandi sponsor possono affrontare.