REALTA ‘ OGGETTIVA E REALTA’ SOGGETTIVA NELLA CORSA

Esistono circa 7 miliardi di modi diversi di sentire la corsa. Diciamo che i neonati per un po’ non sono in grado di sentirla e le persone molto anziane possono addirittura averla dimenticata soprattutto se hanno disturbi della memoria, sempre più diffusi nella società contemporanea. Ma insomma se non sono 7 miliardi ci andiamo vicini.

Se esista anche una Realtà oggettiva della corsa non lo so, ci credo poco. Sono comunque convinto che la Realtà soggettiva della corsa sovrasti ampiamente una presunta Realtà oggettiva che faccio fatica a capire come possa essere codificata.

Per certi versi invidio i degustatori di vino. Hanno centomila parole nel vocabolario per definire in un modo che si trasforma da soggettivo ad oggettivo proprio grazie al lessico un particolare vino. Non so se loro siano orgogliosi di questa cosa e non rivendichino invece la soggettività delle loro sensazioni. In ogni caso hanno questa possibilità di “oggettivizzare” una Realtà grazie alla concretezza del prodotto che vanno a degustare. Se poi uno mi racconta che un bicchiere di vino non è mai uguale ad un altro anche se è dello stesso vino allora quello è un guastafeste che non mi vuol lasciar decantare (bello questo “decantare” parlando di vino…) la solitudine della realtà soggettiva dell’atleta.

L’atleta comunque non ha la possibilità di degustare un prodotto da far assaggiare ad un collega e non potrà mai dire “Dimmi un po’ com’è questa corsa qui…”.

La corsa è irripetibile. Forse anche un buon vino lo è ma la corsa lo è in modo assoluto. Quando un atleta fa 10 corse ripetute sui 200 metri, anche se la fa uguali al centesimo di secondo e con la stessa identica cadenza di passi e pure con le stesse tensioni muscolari, si illude di aver fatto dieci corse uguali. Ma ha fatto dieci corse assolutamente diverse una dall’altra e se da fuori ciò non si è riuscito a vedere, da “dentro”, a meno che quell’atleta non sia stato particolarmente disattento durante quell’allenamento, le sensazioni di corsa avranno certamente confermato, quella diversità.

Uno dei miei soprannomi più curiosi quando ero un atleta agonista era “Spingi vigliacco!” Un po’ strano come soprannome. “Spingi vigliacco” era la cosa che continuavano a dirmi i miei tifosi mentre ero in gara che poi ripetevano anche salutandomi. Nasceva dal fatto che molte volte non tiravo le gare al 100% (ne facevo veramente tante che non potevo certamente permettermi il lusso di esprimermi al massimo in tutte…) e anche quando mi impegnavo veramente in modo considerevole non davo la sensazione di essere a “tutta”. Era una sensazione esterna, degli osservatori, perché in realtà tante volte ho dato fondo a tutte le energie per ottenere un particolare riscontro cronometrico o per tentare di vincere una gara difficile da vincere.

Un po’ perché gareggio molto meno di un tempo ma temo anche per altri motivi poco entusiasmanti quel soprannome l’ho perso, e, a meno che non compaia sulle tribune qualcuno dei miei vecchi (vecchi…) colleghi non mi sento più dire “Spingi vigliacco!”. Ormai corro molto piano, spero di non avere un volto sofferente quando corro anche perché francamente mi pare di prendermela con molta più filosofia di una volta ma insomma, quasi quasi all’antico “Spingi vigliacco!” si potrebbe sostituire un più banale “Va pian che te te fè mal!” e se questo cliché non si afferma è semplicemente perché gareggio molto poco, e perché questo monito viene insidiato da altri altrettanto banali anche se leggermente diversi tipo “Te te la stè ciapando massa con comodo”, oppure “Taca le scarpe al ciodo che l’è mejo!”. Sono cambiate di molto le percezioni dei miei spettatori, sono cambiate in modo diverso quelle mie. Perché la cosa incredibile è che anche se vado la metà o quasi di trent’anni fa, quando sono in condizioni discrete sento più o meno le stesse sensazioni di trent’anni fa e quando sono in condizioni meno buone non sento più la fatica di allora per il semplice motivo che stacco decisamente il piede dall’acceleratore e rifiuto di fare un certo tipo di fatica. Al paradosso “Spingi vigliacco!” sarebbe davvero il soprannome da darmi qualche volta adesso.

Non c’è alcuna correlazione fra il vissuto interno della corsa e ciò che vedono le persone dall’esterno, penso che questa cosa valga anche per gli altri non solo per me ma, in assoluto, questa cosa non la so perché l’unica cosa che so è che il vissuto della corsa è decisamente soggettivo.

Insomma riprendendo il vino potrei dire ad un mio collega “Senti questo avampiede lievemente fruttato dell’85…” Ed il mio collega potrebbe rispondermi: “Macchè avampiede! E’ un puro tallone del cavolo del 2015!” Non so che sensazioni abbiano gli atleti che si sono inventati atleti a 50 anni ma temo che abbiano perso per sempre la possibilità di sentire certe sensazioni. In ogni caso sono convinto che di anno in anno possano gustare sempre di più la corsa perché si trovano ad affinare in tarda età ciò che non avevano mai scoperto prima. Che poi possano arrivare all’avampiede lievemente fruttato dell’85 questo non lo so.
Questa soggettività nel sentire la corsa sta alla base della mia testardaggine nel non voler capire perché la maggior parte dei podisti che si sono avvicinati alla corsa in tarda età fuggono dall’idea di provare ogni tanto le distanze brevi dell’atletica leggera. A mio parere chi non ha mai provato a correre un po’ più velocemente di quanto si fa nella corsa di resistenza non può capirci molto quanto a sensazioni di corsa e contesto assolutamente l’idea che la corsa di resistenza sia l’unica idonea per chi comincia un po’ in là con l’età. Vedo molti podisti che pur impegnandosi in corse di resistenza spingono molto sull’acceleratore, a questi, a mio parere, farebbe molto meglio alla salute provare con prudenza anche le distanze brevi più che continuare ad esercitarsi con molta foga esclusivamente sulle distanze lunghe incrementando sempre di più i volumi di allenamento.

E’ un fatto culturale e di moda, la moda spinge soprattutto per la diffusione a tutte le età delle corse di resistenza e non invita i vecchi a fare delicati assaggi di corsa veloce (che farebbe molto bene anche per l’intero organismo oltre che per l’elasticità muscolare, poco sollecitata dalla corsa di resistenza). Niente, l’avampiede lievemente fruttato dell’85 è un gusto peccaminoso che ‘sta solo nella realtà soggettiva della mia corsa, non si può trasferire su 40.000 persone che hanno deciso di fare tutte quasi la stessa corsa nella stessa mattina di una stessa metropoli che non ha voglia di lanciare mode bislacche. Ma vi siete mai chiesti perché i bambini corrono soprattutto nella modalità “abbastanza veloce e per poco tempo?” Siamo propri sicuri che sia più salutare correre per 5 ore agli 8 chilometri all’ora o poco più che non per 18 secondi ai 20 chilometri all’ora? C’è qualche legge che vieta agli adulti di correre ai 20 chilometri all’ora? Se c’è fatemelo sapere, ho una mia realtà soggettiva sulla corsa che ha qualcosa da contestare in proposito.