PUBBLICIZZAZIONE ED ISTITUZIONALIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ MOTORIA

L’attività motoria ha bisogno di pubblicità in due sensi: nel senso tradizionale del termine per essere diffusa e dunque portata a conoscenza del maggior numero di persone e nel senso politico della questione perché, senza essere sottratta ai privati che svolgono comunque un importantissimo ruolo per la sua diffusione, ha bisogno di essere istituzionalizzata, statalizzata e controllata dallo Stato perché questo processo di diffusione capillare è troppo importante per essere lasciato solo in mano ai privati che possono avere interessi non del tutto coincidenti con quelli dello Stato.

E’ evidente che anche i privati hanno a cuore la salute del cittadino perché se non lavorano bene e non puntano a questo obiettivo nel lungo periodo falliscono nel loro compito di promozione dell’attività fisica però, ad essere pignoli, non è proprio detto che i migliori affari siano messi a segno proprio da chi offre il miglior servizio ai cittadini. In sintesi grazie alle mode si possono fare ottimi affari anche offrendo servizi molto scadenti all’utenza. Quando il cliente si accorge che la moda non serve a nulla per guadagnarci in salute è troppo tardi, il business è compiuto, le casse del privato si sono riempite e quell’attività può tranquillamente cedere il passo ad un’ altra più di moda e ancora più facilmente vendibile che va a rimpinguare le casse in un altro modo. Mentre per il privato la salute del cliente è “uno” degli obiettivi ma il principale purtroppo è “vendere” una certa attività fisica, per lo Stato la salute è il primo e unico obiettivo di quell’attività perché lo Stato ci guadagna solo quando il cittadino sta meglio. Il “guadagno” dello Stato non è della stessa natura di quello dei privati e si traduce in minori costi patibili dal Sistema Sanitario Nazionale. Dunque lo Stato non ha bisogno di vendere nulla bensì di convincere onestamente ed autenticamente che il cittadino ha bisogno di muoversi per stare meglio.

Se tutto funzionasse a dovere noi dovremmo fare un monumento a quel ministro che tutela la diffusione dell’importantissima attività fisica presso tutta la popolazione. Purtroppo questo ministro non esiste perché non esiste quel Ministero e non esiste nemmeno una delega al compito di diffusione dell’attività motoria presso tutta la popolazione. A livello istituzionale è previsto semplicemente che la scuola deva farsi carico dell’organizzazione di un minimo di attività fisica per tutti gli scolari italiani e su quel “minimo” ci si potrebbe scrivere un libro perché ci sono veramente molte, molte cose da precisare.

Così il monumento siamo costretti a farlo a quei privati che in modo semplicemente eroico e fra mille difficoltà fanno coincidere il loro business con l’azione di distribuzione di una importante e fondamentale attività fisica per la tutela della salute dei cittadini. Ovviamente lavorare seguendo solo le mode sarebbe molto più facile ma un buon numero di lungimiranti riesce un po’ a svincolarsi da queste logiche e a prezzo di innumerevoli sacrifici riesce a tenere aperti centri che si occupano davvero di distribuire l’attività motoria autentica, quella sana, e non legata alle mode.

Talvolta questi eroi non sono nemmeno gestori di palestre private ma molto più semplicemente operatori del mondo dello sport, molte volte inquadrati come volontari in un fantomatico carosello di personaggi che se non esistessero porrebbero davvero il nostro Paese in una situazione da terzo mondo dell’attività motoria.

Non siamo definibili come un terzo mondo solo perché un’infinità di società sportive tenute in piedi fondamentalmente dalla passione per lo sport da tantissime persone riesce a colmare quel vuoto istituzionale che in un paese come il nostro è semplicemente inaccettabile.

In un ottica lungimirante e tipica di un paese evoluto ovviamente un minimo di programmazione e di statalizzazione dell’attività fisica deve esistere perché laddove non arrivano i privati con le loro iniziative deve arrivare il pubblico a garantire l’effettuazione almeno dell’attività fisica necessaria a stare in salute. Qualcuno obietterà che se lo Stato non è ancora riuscito a vincere la battaglia contro il fumo, che provoca danni inestimabili sulla salute della popolazione con conseguente incremento molto gravoso sul bilancio dell’assistenza sanitaria, tanto meno è attrezzato a vincere la battaglia contro la sedentarietà che richiede interventi probabilmente ancora più onerosi. C’è da precisare che, senza voler sminuire i danni provocati dal fumo la cui stima è probabilmente anche inferiore a quelli patiti realmente per colpa di questo flagello, comunque anche i danni derivanti dalla sedentarietà (si narra di oltre venti milioni di italiani interessati, a vario titolo, da questo problema) sono decisamente sottostimati. Insomma due problemi enormi dove l’attenzione per l’uno non può certamente escludere quella per l’altro e dove comunque uno Stato civile deve tentare di progettare qualcosa. Molto clamore e contestazioni ha destato il recente decreto sui vaccini che da alcuni è stato ritenuto una mossa troppo energica non rispettosa di alcune problematiche individuali che in uno Stato libero devono comunque essere attentamente analizzate. Ebbene senza entrare nel dettaglio della questione che è di portata decisamente rilevante e spero che sarà rivista e studiata con molta più circospezione ed attenzione dal nuovo governo, mi permetto di rilevare come tutta la problematica vaccini riguardi situazioni decisamente importanti ma comunque di rischio ipotetico. Una vera e propria strage in conseguenza di comportamenti assolutamente deplorevoli si può tranquillamente affermare che in Italia non è avvenuta e secondo alcuni non è nemmeno stata sfiorata. Non così si può dire per fumo e sedentarietà dove la strage è in atto, miete un numero incalcolabile di vittime ogni anno e dove però non vengono formulati decreti d’urgenza. Bisogna ammettere che qualcosa almeno a livello “pubblicitario” contro il fumo negli scorsi anni era stato fatto ma quando si è visto che queste misure, pur utili, non erano decisive per risolvere il problema non si è insistito nel percorrere una strada che deve certamente essere percorsa.

A livello di politiche contro la sedentarietà nemmeno quello. La scuola continua con le sue due ore di attività motoria alla settimana (che i ragazzi non vadano in sovraccarico articolare…) mentre fuori da scuola c’è il buio più totale.

A far da sfondo a ciò ci sono le politiche per la mobilità urbana delle quali il sottoscritto è un grande sostenitore ed a tal proposito, per far capire quanto siano ben viste queste, posso solo riportarvi la sensazione che ho avuto io in questi anni quando in ambienti pubblici mi sono sempre dichiarato favorevole a mosse energiche in tal senso (tipo pedonalizzazione di vaste aree dei centri storici ed estensione del limite dei 30km/h a zone molto più ampie di quelle comunemente interessare da quei limiti attualmente). Ebbene quando predichi che è necessario rallentare il traffico urbano per favorire la mobilità a piedi ed in bicicletta (e dunque per contrastare il problema della sedentarietà) vieni visto molto semplicemente come un terrorista. E questi sono i casi strani ed imprevisti della vita perché io non avrei mai detto che a predicare contro la sedentarietà si possa passare per terroristi.