PERCHE’ NON CREDO NELLA SCHEDA DI “LAVORO”

Sulle famigerate schede di lavoro avevo scritto uno dei miei primi articoli apparsi su questo sito, basta cercarlo e questo articolo si trova ancora (si intitola “La scheda di lavoro ed i consigli individualizzati, due filosofie a confronto”), evidentemente questo articolo non ha avuto molto successo perché svariati lettori continuano a chiedermi consigli sulle schede di “lavoro” ignorando il fatto che io non le uso assolutamente come sistema per dare indicazioni di alcun tipo.

Nel tentativo di rendere più facile il compito di chi si annoia a cercare quell’articolo e di rendere ancora più esplicito il mio punto di vista nell’ipotesi che non fossi stato abbastanza chiaro nell’articolo precedente, tento di rispiegare sinteticamente perché non credo nella possibilità di utilizzare con successo le schede di lavoro.

Le schede di “lavoro”, a parte il nome poco invitante che in una società letteralmente stritolata dal lavoro (i disoccupati lavorano ancora più degli altri nel tentativo disperato di trovare lavoro…) portano a pensare al lavoro anche nel poco tempo libero che ci resta, hanno un problema di fondo: che hanno la presunzione di “pianificare” un’attività (mi piacerebbe chiamarlo “gioco” ma per non prendere troppo le distanze da chi lo chiama “lavoro” mi limito a chiamarla “attività”) che non si può pianificare. Pianificare l’attività motoria, oltre che terribilmente noioso è pure metodologicamente inaccettabile. Non abbiamo la capacità, tecnici, scienziati o semplicemente empiristi del movimento, di prevedere cosa accade somministrando una certa quantità di movimento in un soggetto nel lungo periodo, nemmeno nel medio periodo e, purtroppo, facciamo fatica a prevedere cosa accadrà anche il giorno dopo. Questi sono i limiti scientifici dell’attività motoria. Forse è anche per questo che tante persone insistono a curare con i farmaci cose che potrebbero benissimo essere curate con l’attività motoria. I farmaci, anche se hanno molti effetti collaterali, tutto sommato sono più prevedibili, nei loro effetti, sia positivi che negativi, dell’attività motoria. Mentre il medico, quando prescrive un farmaco, più o meno sa cosa accadrà e può permettersi di prescrivere la cura rivedendo il paziente dopo un periodo non lungo ma nemmeno brevissimo, l’insegnante di educazione fisica, per bravo che sia, farà molta fatica a prevedere cosa accade all’allievo che svolge un certo carico di attività motoria. Così non può permettersi il lusso di fare una prescrizione e dire “Ci sentiamo fra un mese”, non è deontologicamente e professionalmente corretto ed onesto anche se c’è chi lo fa.

Quando qualcuno mi chiede la “scheda di lavoro” in sintesi mi chiede di prenderlo in giro e vuol dire che di attività motoria ci ha capito piuttosto poco. L’unica cosa che posso fare in queste situazioni è tentare di dare consigli che vadano più vicino possibile al cuore del problema e mettermi a disposizione per riascoltare chi mi chiede di questi consigli quando ha già provato a fare qualcosa. Se questo non parte finché “non ha il piano di lavoro” con me non partirà mai, perché è solo cominciando a muoversi che può cominciare a capire come funziona.

Detto questo bisogna pure fare i conti con la cultura dominante e se molti soggetti chiedono la “scheda di lavoro” vuol dire che c’è qualche professionista o presunto tale che queste cose continua a proporle o, almeno, le ha proposte in tempi recenti. Insomma l’epidemia delle schede di “lavoro” tende a non attenuarsi ed è una di quelle cose che ci fa perdere credibilità come professionisti responsabili e preparati, è una di quelle cose che forse ci ostacola nel poter lavorare a fianco dei medici per poter giungere ad una vera cultura della prevenzione.

Ho sempre detto che i veri responsabili della prevenzione primaria siamo noi e non i medici, perché siamo noi che abbiamo a che fare con i sani, i  medici, nella migliore delle ipotesi, hanno a che fare con i “quasi sani” e, pertanto vanno a rendersi protagonisti della concretizzazione della prevenzione secondaria che riguarda già alcune categorie a rischio. Questo importante compito che ci siamo conquistati sulla carta con un diploma (il mitico diploma ISEF) o con una laurea (l’attuale laurea in Scienze Motorie) deve essere conquistato sul campo (e dico proprio sul “campo” perché noi lavoriamo sul campo più che in ambulatorio) con atteggiamenti di grande professionalità. Redigere una scheda di “lavoro”, può essere comodo, forse pure alla moda ed invitante per l’allievo ma non è certamente professionalmente edificante. Bisogna avere anche il coraggio di dirlo, anche se il cliente ha sempre ragione. Il cliente ha sempre ragione e per questo non va mai preso in giro.