PERCHE’ L’ALLENAMENTO TECNICO E’ PIU’ IMPORTANTE DELL’ALLENAMENTO CONDIZIONALE

La disputa fra allenamento tecnico e allenamento condizionale è una disputa d’altri tempi per il semplice motivo che nello sport moderno l’allenamento condizionale sta surclassando quello tecnico. In realtà ai fini del risultato sportivo l’allenamento tecnico è più importante di quello condizionale e mentre può esistere un allenamento condizionale senza componente tecnica (anzi è quasi sempre così) non può esistere un allenamento tecnico senza una benché minima componente condizionale.

Con l’elevata medicalizzazione dello sport si è notato che si può agire in modo molto significativo sulla prestazione sportiva anche grazie all’uso dei farmaci, il fatto che questo modo di agire non sia molto gratificante da un punto di vista etico viene risolto dal grande clamore che fanno l’antidoping e tutte le vicende ad esso collegato. Tutto quanto non è lecito e può essere chiamato doping viene severamente sanzionato dall’antidoping e rilevato con controlli molto efficienti (c’è ancora qualcuno che ci crede?!?) gli altri trattamenti vengono fatti per la salute degli atleti, peccato che mediamente un atleta sano di alto livello e che scoppia di salute prenda più farmaci di un sedentario cronico che lo sport lo vede solo per televisione.

Con i farmaci si riesce ad agire su almeno due doti condizionali in modo molto significativo: sulla forza (grazie a tutti quei farmaci che hanno un effetto anabolico) e sulla resistenza (grazie a tutti i farmaci che sono in grado di arricchire la composizione sanguigna). Sull’elasticità pare che devano ancora scoprire la bevanda magica che cambia le carte in tavola e forse è anche per questo che i record del mondo di 400 metri e 800 metri in atletica stentano a migliorare in modo decisivo e sono più o meno fermi da qualche decina di anni. Il record del mondo dei 400 metri piani maschili è ancora sopra i 43″ quando già nel 1968 un atleta (Lee Evans) riusciva a correre la distanza in 43″7.  A livello femminile il record mondiale risale al 1985 e la cosa più sorprendente è che non si vedono all’orizzonte atlete nemmeno in grado di avvicinare questo record. Negli 800 metri il discorso non è molto diverso: Seb Coe correva in 1’41″7 già nel 1981 e adesso siamo appena di poco sotto 1’41” mentre in campo femminile il tempo di 1’53″28 della Kratochvilova ha ormai più di 35 anni. Il bello è che invece di chiedersi perché non c’è stato progresso tecnico ci si perde in illazioni nei confronti dei primatisti mondiali di un tempo sapendo benissimo che il doping non è stato sconfitto ma ha solo cambiato nome. Con l’assistenza medica di adesso probabilmente i tempi segnati dai protagonisti di un tempo potrebbero essere stati sotto i 43″ sui 400 e sotto 1’40” sugli 800 in campo maschile e sotto i 47″ e a circa 1’52” in campo femminile. Ma questa è solo dietrologia e c’è chi dice proprio il contrario attribuendo poteri magici ai medici che seguivano gli atleti di 40 anni fa.

Se avessimo l’umiltà si ammettere che non c’è stato progresso tecnico forse invece faremmo più bella figura come tecnici e si potrebbero gettare le basi per fare in modo che l’allenamento tecnico torni ad avere  più considerazione di quello condizionale come avveniva un tempo.

Una possibile spiegazione dell’involuzione tecnica delle metodologie di allenamento può essere data anche dall’osservazione che non esistono più tecnici “pionieri”, non esistono più sperimentatori perché gli allenatori degli atleti di alto livello, che per la massima parte sono tecnici federali, hanno una fottuta paura di sbagliare e tendono a preparare gli atleti con lo stampino come se fossero tutti uguali e senza rischiare nulla di innovativo per non ritardare un risultato che deve giungere sempre con una stramaledetta fretta. Gli unici allenatori che possono permettersi ancora il lusso di sperimentare e poter tranquillamente fallire con un atleta sono quelli periferici dei piccoli club di provincia che non hanno agganci con i vertici federali e nemmeno atleti di un certo giro. Evidentemente la loro sperimentazione anche se valida (sono solo loro che possono creare qualcosa di nuovo e reale progresso tecnico) non viene ritenuta trasferibile sugli atleti di vertice perché mentre questi si allenano anche 30 ore alla settimana quelli sulle quali vengono provate le nuove metodologie di allenamento si allenano “solo” dieci o quindici ore la settimana.

Continuare a dare la colpa ai medici che hanno invaso in modo sempre più importante e sistematico il mondo dello sport non ha senso anche perché sono proprio i tecnici a dare significato a questi interventi quando con programmazioni troppo consistenti in volume vanno ad alterare alcuni importanti parametri bioumorali degli atleti. La questione è principalmente di ordine tecnico e forse per poter essere affrontata ha bisogno di essere applicata su un gran numero di atleti che vogliono fare sport davvero senza affidarsi all’assistenza medica ad ogni piccolo segnale di affaticamento. Se poi mancano gli atleti veri che vogliono fare lo sport come si deve senza necessariamente diventare dei professionisti allora questo è un problema organizzativo, strutturale e sociologico dello sport di adesso che mostra sempre più due facce ben distinte: quella dell’atleta superimpegnato che non vuole sbagliare nulla ed investe sullo sport molto più che semplici emozioni e quella dell’atleta finto che oltre allo sport fa anche centomila altre cose e non ha certamente il tempo e la voglia di sperimentare nuove metodologie di allenamento con un tecnico che magari non è neppure nel giro della nazionale e pertanto non offre alcuna garanzia di risultati. Di veri giocatori non ne sono rimasti perché i primi non improvvisano nulla ed i secondi non hanno il tempo e la buona volontà per affrontare il gioco come andrebbe davvero affrontato.

Speriamo almeno che si arrivi a capire che con l’allenamento tecnico si può davvero creare qualcosa di nuovo mentre con quello condizionale si può solo scimmiottare ciò che ci hanno fatto vedere da fin troppe angolazioni negli ultimi 35-40 anni.