Osservazioni su “Il vero scienziato non dice mai…”

“La scienza la fanno gli scienziati e pertanto è un po’ difficile dire – La Scienza dice così… – in quanto nella vasta letteratura scientifica sarà molto probabile trovare chi sostiene una tesi diametralmente opposta. Quando tu per “comodità metodologica” sostieni che la scienza del movimento non è nemmeno una scienza e pertanto ti arroghi il diritto di sostenere dei punti di vista che di scientifico hanno ben poco, non fai che ammettere i limiti della teoria e metodologia dell’allenamento sportivo, “scienza” ferma più o meno da quarant’anni da quando cioè il mondo sportivo ha abbracciato su vasta scala l’approccio scientifico medico di impostazione sovietica per la cura degli atleti di alto livello.

Tale scelta ha messo al palo la scienza dell’allenamento e l’ha relegata ad un ruolo di contorno destinata ad espandersi per lo più nella preparazione degli atleti di seconda schiera non assistiti a livello medico e pertanto non condizionati nella loro preparazione da nessun protocollo farmacologico.

Non si può dire “La scienza dice questo…” perché molte volte la scienza sostiene più punti di vista e si trovano scienziati che sostengono teorie contrapposte, al più si può affermare “Il tale scienziato dice questo” e attribuire alcune dichiarazioni ad un certo studioso.

Il fatto che la teoria e metodologia dell’allenamento sportivo per certi versi possa essere ritenuta un’arte più che una scienza non toglie in ogni caso responsabilità all’operatore sportivo che, pur non maneggiando farmaci, deve comunque rendersi conto che soprattutto trattando di preparazioni sportive molto consistenti in volume opera scelte che posso certamente aver a che fare con la salute dell’atleta. Insomma se una volta si aveva una grande paura (forse anche giustamente…) dell’intervento farmacologico che veniva comunemente chiamato doping, al giorno d’oggi si è capito che bisogna andare con una grande prudenza con i carichi di allenamento anche quando questi non sono supportati da nessun protocollo farmacologico, anzi, paradossalmente, proprio per questo. La scienza medica è decisamente una scienza e nessun medico si sogna di fare esperimenti sugli atleti anche se bisogna ammettere come il ricorso ai farmaci per sostenere la preparazione sportiva si sia effettivamente diffuso a macchia d’olio in questi decenni. La scienza del movimento è comunque per certi versi una scienza (non per niente le chiamano “Scienze motorie”) e, anche se ha ambiti molto meno ben definiti, si muove secondo un criterio probabilistico che si rifà molto al metodo scientifico, anche se bisogna ammettere che, trattando di campioni, non ci si può rifare a studi che riguardano una platea molto vasta proprio perché i campioni, in quanto tali, non sono proprio molti.

Insomma anche il tecnico di campo, anche se non collabora con nessun medico e segue un atleta di seconda schiera deve indubbiamente muoversi con una certa prudenza anche se non essendo un medico non ha la necessità di attenersi ad alcun protocollo standardizzato. La fantasia è certamente tollerata, la banale sperimentazione pionieristica deve come minimo essere accompagnata da una sana prudenza di metodo.”

Non c’è dubbio, io sostengo sempre come le scienze motorie in realtà siano arti motorie perché hanno una gamma di sfumature che è molto più ricca di quella che caratterizza tipicamente la medicina. Sono d’accordo sul fatto che il nostro intervento, anche quando non accompagnato assolutamente da nessun trattamento medico, deva essere ispirato a criteri di massima prudenza perché grandi carichi di allenamento possono certamente dare reazioni di sovraccarico anche difficilmente prevedibili.

Se mi è consentita un’ulteriore osservazione, per conto mio, la scienza dell’allenamento negli ultimi decenni è rimasta al palo proprio perché non ha potuto beneficiare di quell’alone di sacralità che accompagna la scienza medica e così mentre il medico viene facilmente visto come uno scienziato, molto spesso il tecnico viene visto come uno stregone. Tale cosa è del resto inevitabile perchè se la prudenza in campo medico è requisito assolutamente imprescindibile e non ci si può assolutamente allontanare da protocolli universalmente riconosciuti, tale cosa nella teoria dell’allenamento sportivo non avviene ed anzi chi “esperimenta” (sottolineo le virgolette…) viene ben visto perché se si vuole andare uno scalino più su si è pure costretti ad inventare qualcosa di nuovo. Il tecnico è un pioniere sul campo e lo è direttamente sull’atleta, con tutta la prudenza possibile, il medico non sarà mai un pioniere sul campo perché tutto ciò che arriva lì deve essere prima stato ripetutamente validato in laboratorio.

Detto questo, da “tifoso” della mia materia io resto incallito sostenitore del chiamiamolo “esperimento” in teoria e metodologia dell’allenamento piuttosto che dell’applicazione del supercollaudato protocollo farmacologico per incrementare la prestazione sportiva. E’ una questione di gusti, a mio parere è giusto riservare le medicine per i malati ed una cauta sperimentazione con l’attività fisica per i sani.