Non siamo noi che dobbiamo servire lo sport, è lo sport che deve servire noi.
Sento dire da chi si occupa di sport minore: “…bisogna finirla di dare la precedenza assoluta al calcio, è opportuno dirottare i contributi verso gli sport minori…”. Non sono d’accordo, non perché non sia per uno sport “democratico”che ha rispetto di tutte le discipline sportive ma perché ritengo che sia proprio nel modo di finanziare il calcio che possiamo imparare a finanziare tutto lo sport in modo corretto.
L’obiettivo finale è che tutti facciano sport non che tutti gli sport siano degnamente rappresentati nel nostro paese. Se il calcio ha una marea di praticanti è giusto che veda di ritorno buona parte dei contributi che servono per alimentarlo alla base. Non abbiamo bisogno di finanziare il calcio dei professionisti come non ci serve finanziare qualche sport minore solo per il fatto che può farci produrre medaglie olimpiche a basso prezzo. Lo sport va finanziato per ciò che è in grado di restituirci e pertanto un settore giovanile che muove un milione o più di ragazzini merita una grandissima attenzione, il settore giovanile di uno sport emergente che coinvolge qualche migliaio di ragazzini potrà avere attenzione ma certamente non i fondi di vitale importanza che servono per alimentare il settore giovanile dello sport principale. Che poi ogni sport minore, nella sua base meriti più interesse di qualsiasi medaglia olimpica su quello sono perfettamente d’accordo.
Visto che abbiamo perso ogni speranza che la scuola possa occuparsi veramente dell’attività fisica dei nostri ragazzi e questa nobile presunzione pare destinata a restare tale per altri decenni non possiamo altro che pensare a reinventare le Federazioni sportive che, di fatto, sono l’unico fornitore di attività sportiva sul nostro territorio. Chiaramente, data questa situazione, non possiamo continuare a pensare che le Federazioni siano quegli enti che si preoccupano di formare i campioni delle varie discipline sportive. Assumere per ancora attuale questo concetto arcaico vorrebbe dire responsabilizzare troppo gli Enti di Promozione Sportiva che sono quegli enti che dichiaratamente si occupano dello sport per tutti senza alcun obiettivo di qualificare il livello prestativo dei campioni più rappresentativi. Lo sport per tutti è certamente aiutato dagli Enti di Promozione ma deve essere coordinato dalle varie Federazioni perché è troppo importante per avere una diffusione casuale, non programmata, non pianificata, non supportata anche economicamente da contributi mirati a seconda delle situazioni. Lo sport minore può essere importante ma ciò che è più importante è la diffusione dello sport in senso lato, minore o maggiore ma comunque per tutta la popolazione e non solo finalizzato alla preparazione del campione.
Dal calcio dobbiamo imparare una cosa: che lo sport può essere diffuso anche senza l’intervento della scuola e che può sopravvivere anche nonostante l’ostruzionismo di questa. Purtroppo, pensare che il calcio professionistico possa finanziare il calcio vero, quello della base, è un po’ pretestuoso e per questo non ci si può fidare del comportamento dei vari sponsor. Il servizio offerto dal calcio alla comunità si misura nel coinvolgimento dei milioni di ragazzini che lo praticano assiduamente non nei risultati più o meno casuali delle grandi squadre di club e/o della nazionale italiana. Il calcio, rispetto agli altri sport, ha una marcia in più perché ha una base sana che può continuare ad esistere anche se il vertice agonizza. Probabilmente è l’unico sport che si possa permettere il lusso di trascurare completamente i risultati degli atleti di alto livello perché ha una base che viaggia da sola. Dire che il calcio senza i professionisti sarebbe la stessa cosa non si può ma ipotizzare che possa esistere anche senza questi non è sbagliato.
Il succo di tutto questo discorso è che mentre nel ventesimo secolo avevamo bisogno di sviluppare lo spettacolo come motore di un apparato colossale fortemente condizionato dal sistema economico, nel ventunesimo secolo abbiamo assoluto bisogno di sviluppare la base di ogni sport, a prescindere dal ritorno in immagine che può darci, come motore di una prevenzione sanitaria che, anche se ha un sapore vagamente fascista, è terribilmente attuale.
Quando nelle mie apologie sulla ex DDR affermavo che la DDR non ha costruito solo un apparato perfetto per la formazione dei campioni ma ha pure diffuso lo sport per tutti per raggiungere questo obiettivo, dimenticavo, forse perché sono solo “relativamente vecchio”, che l’Italia, in tempi precedenti, aveva operato una scelta simile con intenti ancora più nobili. Il fine ultimo non era la costruzione dei campioni bensì la diffusione di sane pratiche di vita presso la gioventù per mettere in mostra la salute di “tutta” al gioventù italiana e non solo di una élite di campioni. Messa in mostra o umilmente nascosta, la salute della gioventù della popolazione di una nazione è comunque un obiettivo fondamentale e non un optional o propaganda politica.
Non è apologia di reato affermare che a livello culturale di sport di base eravamo più avanti 80 anni fa di adesso. Poi siamo tornati indietro certamente non per colpa della seconda guerra mondiale o della DDR.
Non c’è bisogno di tornare al sabato fascista per dare ossigeno alla nostra gioventù ma probabilmente è opportuno ristrutturare le varie Federazioni sportive ammettendo umilmente che la nostra scuola non ha i mezzi per diffondere l’attività fisica per i giovani e che il solo lavoro degli Enti di Promozione Sportiva non può essere sufficiente per pianificare una diffusione che deve essere strutturata in modo razionale e non solo casuale sul volontariato.
A chi mi dice che i contributi devono essere dirottati dal calcio verso gli altri sport rispondo che è giusto che i contributi vengano distribuiti in base al numero di praticanti delle varie federazioni e pertanto se il calcio ha una base che è enorme è giusto che abbia un ritorno decisamente importante di contributi. La cosa nuova sulla quale vorrei invece porre l’accento è un controllo sull’utilizzazione di tali contributi. Qualsiasi sia lo sport al quale vanno indirizzati, più o meno diffuso, più o meno vincente nel suo aspetto agonistico di vertice, ritengo che i contributi devano sempre essere utilizzati con l’unico scopo di allargare la base dei principianti più che con il fine di produrre i campioni delle singole discipline sportive al finanziamento dei quali provvedono in primo luogo gli sponsor privati ed in secondo luogo i vari gruppi militari molto interessati all’attività sportiva di vertice.
Pensare che una buona gestione del vertice possa trascinare la base per “contagio” è un’idea di altri tempi. Se questo pensiero può attraversare la mente di chi si occupa di sport minore e sente un forte bisogno di pubblicità per lanciare a livello mediatico quel determinato sport non può assolutamente nemmeno sfiorare la mente di chi si occupa di sport con una diffusione gigantesca quale il calcio. Non è il vertice a trascinare la base bensì la base che deve avere nuova linfa per migliorare lo sport del futuro.
Un calcio che sopravvive anche senza i grandi investitori esteri e senza i contributi statali non è una tristezza nemmeno se i risultati agonistici precipitano e gli stadi si svuotano perché resteranno comunque migliaia di campi di periferia a mettere in scena l’autentico spettacolo del calcio. E’ quello che fa bene alla gioventù, è quello il vero motore ed il miracolo del calcio. Se questa realtà rende il calcio unico perché lo rende inattaccabile anche dagli umori dei grandi sponsor è una realtà che deve essere premiata e considerata perché restituisce salute alla gioventù italiana.
In ogni sport la base conta più del vertice anche laddove con quattro soldi si riesce a produrre quella medaglia olimpica che porta tanto lustro all’immagine dello sport di vertice. Investire sullo sport minore partendo dalla medaglia olimpica come si faceva un tempo è un lusso che non ci si può più permettere. Questo atteggiamento, potenzialmente pericoloso nei confronti degli sport minori non è antidemocratico ma è la sincera ammissione che, ai nostri tempi, uno sport vale per quanti ragazzini riesce a coinvolgere non per il numero di medaglie che riesce a farci prendere alle Olimpiadi. Se qualcuno continua a sostenere che prima devono arrivare le medaglie e poi arriva la base dei praticanti allora queste sono le logiche di uno sport arcaico, non pianificato e legato ai miracoli di pochi campioni un po’ troppo osannati. Diamo pure attenzione allo sport minore, anche quando passa da 700 a 1400 praticanti su tutto il territorio nazionale ma non solo se fra questi c’è qualche campione che porta la medaglia. La vera medaglia è il ragazzino che comincia e continua a fare sport, nonostante una scuola quasi del tutto assente.