LA QUESTIONE ETICA NELLO SPORT

Questa cosa è una delle quali mi riesce più difficile esprimere il  mio punto di vista con chiarezza perché è una cosa molto complessa, il mio pensiero in proposito è fin troppo complesso e mi esprimo in un italiano che forse è troppo scadente per poter sviscerare tale complessità.

Alla fine risulto come quel pirla indulgente nei confronti degli atleti presi positivi all’antidoping ma estremamente severo nei confronti dell’antidoping che reputo l’istituto principalmente responsabile dell’eccessiva medicalizzazione dello sport moderno.

Se non vuoi che la medicina sia troppo presente nello sport dovresti sostenere l’antidoping invece di criticarlo selvaggiamente, verrebbe da dire, ed è proprio questo concetto che non riesco mai a far capire al mio interlocutore anche se questo è un personaggio molto dentro alle questioni di sport di alto livello e pertanto dovrebbe essere attrezzato a capire il mio punto di vista.

L’antidoping attuale rende costosissimo usare i farmaci nello sport, non riesce a far diminuire l’uso di farmaci nello sport di alto livello e segna una linea di demarcazione ben netta fra chi usa molti farmaci per incrementare il rendimento sportivo e chi si dopa. I primi, anche se da un punto di vista etico e negli intenti dei regolamenti antidoping sarebbero sanzionabili, in realtà sono liberi di continuare a fare quello che hanno sempre fatto, anche se devono spendere cifre sempre più consistenti per non risultare positivi ai controlli antidoping, i secondi devono stare sempre più attenti a mascherare il loro status di dopati perché se vengono trovati positivi vengono bollati per dopati, squalificati e soprattutto esposti al delirio delle folle in quanto simbolicamente unici colpevoli di uno sport che teoricamente funziona a pane e acqua, al più anche qualche bistecca per i nostalgici delle proteine.

A livello medico c’è un dibattito aperto che è una questione che non può essere troppo pubblicizzata altrimenti rischia di far cascare il palco: la questione molto spinosa è se sia più salutare praticare lo sport di alto livello senza aiutarsi assolutamente senza alcun tipo di farmaco o se non sia più razionale, in presenza di preparazioni intensissime e del tutto eccezionali, aiutarsi anche con un approccio farmacologico, molto ben calibrato, costantemente monitorato e comunque anche molto articolato nella certezza che l’atleta non risulti mai positivo ai controlli antidoping. Questa seconda via, è inutile che ci diciamo balle, implica una grande medicalizzazione dello sport, una continua presenza del medico sportivo nelle questioni legate allo sport di alto livello, è un’assistenza che ha costi esorbitanti e non c’è dubbio sul fatto che possa dare delle garanzie all’atleta di alto livello che lo rendono un po’ più tranquillo da certi punti di vista.

E’ indubbiamente un lusso alle quali le federazioni sportive più ricche non vogliono rinunciare perché pare assodato che in presenza di protocolli di intervento ben articolati le medaglie arrivino più facilmente e nessuno si diverte a rinunciare alle medaglie che potenzialmente potrebbero arrivare.

Se vogliamo non sembrerebbe nemmeno una questione molto complessa. Sulle medaglie ci sono flussi finanziari da capogiro, se investendo con una buona assistenza medica senza dopare nessuno si riescono ad incrementare anche le possibilità di pigliare queste medaglie, proviamoci.

Questo atteggiamento, in linea di massima non deplorevole, ha finito per incrementare in modo esponenziale l’uso dei farmaci nello sport di alto livello. Non è aumentato il numero dei dopati, anzi, forse quello è diminuito perché si è sempre più attenti a non “dopare” nessuno, ma l’utilizzazione dei farmaci nella comune (comune per modo di dire perché sono preparazioni semplicemente mostruose, assolutamente da professionisti) preparazione dello sportivo di alto livello è aumentata considerevolmente.

Da un punto di vista etico mi da fastidio quando un atleta che usa farmaci da più di dieci anni per fare sport di alto livello dice che si può fare attività di alto livello anche senza doparsi. Questa dichiarazione è assolutamente autentica e corrisponde a verità ma mi suona molto di presa in giro da parte chi ha un’assistenza medica di altissimo livello e può risultare costantemente negativo ai controlli antidoping. Dopo va a finire che nella rete cascano cani sciolti tipo Schwazer che da buon altoatesino sa l’italiano peggio di me e quando ha tentato di far capire come funzionano le cose ha fatto dei veri e propri disastri pigliandosi una squalifica colossale perché ha pestato i piedi in modo inequivocabile al sistema dell’antidoping e non solo.

Pertanto ad alto livello la questione etica sembra più una questione lessicale e di giornalismo sportivo che non una questione medica. Da un punto di vista squisitamente medico sarebbe il caso di lasciare tutto in mano ai medici, che decidano fra loro ciò che è lecito e ciò che non è lecito, ciò che si può fare e ciò che non si può fare ed è abbastanza inutile tenere su un sistema di controllo costosissimo che decide se l’operato dei medici è corretto o meno.

La vera questione etica, a mio parere, si gioca nel medio livello dello sport, nel novero di quella purtroppo abbastanza esigua fascia di atleti che pur essendo atleti veri perché si allenano tutti i santi giorni e non solo due o tre volte la settimana, non hanno alcuna assistenza medica e non usano alcun farmaco per alterare il rendimento sportivo. Per questi atleti il problema non è con l’assistenza medica ma con le opportunità concrete di fare sport. Sono atleti non professionisti che non riescono a trovare il tempo necessario per fare sport. Per certi versi sono atleti di alto livello perché pur non allenandosi due volte al giorno e senza nessun supporto farmacologico riescono ad ottenere prestazioni che sono vicine in modo inquietante a quelle ottenute dai big dello sport.

Perché scrivo in modo inquietante? Perché a volte viene il sospetto che se questi atleti fossero messi nelle stessa condizioni dei professionisti potrebbero ottenere risultati anche migliori di quelli dei professionisti stessi ed allora si che a qualche “amatore” (chiamiamoli amatori ma non sono amatori, gli amatori sono atleti un po’ su con l’età, questi sono solo “senior senza quattrini e senza assistenza medica”, quelli che una volta trovavano casa nei club sportivi non militari semi professionistici, quelli praticamente spariti dalla scena dello sport) può venire la tentazione di doparsi come si faceva un tempo prendendo qualche porcheria di quelle che al primo controllo ti danno l’ergastolo e ti fanno passare per l’unico dopato dello sport nazionale.

Lo sport che fa bene è quello dove ci si allena tutti i giorni senza prendere medicine per sostenere la preparazione sportiva, se il risultato arriva in questo modo bene, altrimenti amen. Questo sport va decisamente incentivato anche se è difficile offrire la possibilità di praticare questo tipo di sport a tanti sportivi veri. Inoltre diffondendo molto la pratica di questo tipo di sport non è nemmeno certo che aumenti la qualità dei risultati di livello assoluto. E’ quasi garantito che aumenta la quantità di risultati di buon livello ma da questa situazione non c’è alcuna garanzia che aumenti poi il numero delle medaglie conquistate al vertice. In sintesi da un punto di vista economico è uno sport che costa e basta, non da un ritorno in termini di immagine e non da un ritorno economico diretto. Attenzione però nell’essere troppo frettolosi nelle valutazione di carattere economico perché se davvero la popolazione sportiva di medio livello aumenta in modo considerevole si può sperare che diminuiscano i costi per l’assistenza sanitaria. Il vero testimonial dello sport per la salute infatti non è l’atleta che fa 2 metri e 43 nel salto in alto in televisione ma quello che fa un metro e ottanta nella stessa disciplina nel vostro condomino e porta testimonianza diretta sulle modalità di pratica dello sport impegnato ma non esasperato. Un metro ottanta si fa con un po’ di passione, senza farmaci e senza assolutamente allenarsi due volte al giorno, qualcuno lo fa anche improvvisando, qualcuno che magari è partito proprio dal basso ha bisogno di allenarsi tutti i giorni o quasi per farlo. E’ questo il vero sport è questo che fa cultura e prevenzione sanitaria. Se di questi ce n’è uno per condominio, diciamo centinaia di migliaia in un paese come il nostro e non solo la centesima parte allora certamente possiamo avere una cultura sportiva superiore e resteremo a bocca aperta anche quando uno supera i 2 metri e non solo quando fa 2.43.

Insomma delle sorti dello sport di alto livello alla base gliene frega ben poco e la vera questione etica non è che tipo di farmaci possono usare quelli che devono ambire alla medaglia ma che tipo di sport può essere offerto a chi salta un metro e sessanta e non si mai messo in testa che saltare un metro e ottanta è più bello oltre che addirittura più salutare (perché lo sport sistematico è ancora più salutare di quello occasionale).

In cosa si traduce a livello pratico questo pensiero? In una questione molto spinosa che la maggior parte degli addetti allo sport continuano ad ignorare e che è l’ipotesi di un trasferimento degli investimenti per lo sport dall’alto livello delle singole discipline al medio livello delle stesse. E’ chiaro che se passa tale concetto allora non si trovano più i soldi che ingrassano l’antidoping e nemmeno quelli per l’elevata medicalizzazione dello sport di alto livello. Con politiche del genere è pure possibile rimediare gran brutte figure nello sport olimpico e nello sport internazionale in genere però si fa cultura dello sport. Da un punto di vista etico, a mio parere, lo sport di qualche milione di atleti autenticamente impegnati nello sport è più importante dello sport, altrettanto impegnato ma squisitamente di vertice, di qualche migliaio di atleti che sono costretti ad allenarsi due volte al giorno per rincorrere le famigerate medaglie televisive.