LA CORREZIONE IN TEORIA DEL MOVIMENTO

La correzione nel movimento non dovrebbe esistere. In teoria. Poi in pratica, però, tutti correggono e allora dobbiamo almeno tentare di capire il perché. Forse l’unica cosa da correggere è proprio la teoria del movimento più che il movimento e si può tranquillamente osservare che non esiste una “teoria della sedentarietà” con tanto di dogmi sulla correzione anche in fatto di sedentarietà. Eppure l’atteggiamento “correggibile” è proprio quello del sedentario più che quello di chi si muove e allora si continua nella contraddizione.

Forse, allora, bisogna semplicemente capire che errori hanno fatto nel movimento quel gran numero di soggetti che si sono ritrovati sedentari in tenera età. Perché bisogna aggiungere che, a meno di gravi malattie, nessuno nasce sedentario ma ci si può diventare e, nella nostra società, ci si diventa sempre più presto, salvo riscoprirsi improbabili atleti dopo vent’anni di sedentarietà.

Continuando nel paradosso si può scoprire che molti sedentari sono dei personaggi che nel loro vissuto motorio hanno subito molte correzioni. Alcune proprio non le hanno subite perché erano stufi di subire correzioni e così hanno pensato bene di evitare le correzioni evitando l’attività motoria.

Scopriamo sempre di più che probabilmente quella che necessita di correzioni, magari piuttosto urgenti, è proprio la teoria del movimento. Non sono gli allievi che sbagliano e si rifugiano nella sedentarietà, sono gli insegnanti che non trovano le chiavi per far capire che il sano movimento è cento volte meglio della sedentarietà. Ma gli insegnanti sono pochi e non hanno tempo per fare il loro lavoro come andrebbe fatto. E’ proprio per quello che gli insegnanti sono chiamati a fare i miracoli perché alla fine il loro lavoro diventa di un’importanza fondamentale per arginare un problema che è una vera e propria emergenza sociale.

Con tante mode che ci sono non è mai stata inventata una moda della “non correzione”. Potrebbe starci perché l’istituto della correzione non è una cosa di moda, è una cosa arcaica che si perde nella notte dei tempi, però non è mai stato insidiato da nessuna moda. Ci tocca dire che la correzione, inventata quasi prima che nascesse l’uomo, resiste a tutte le mode ed è sempre di moda.

E’ pure difficile spiegare perché la correzione in teoria del movimento è molto pericolosa perché orde di sostenitori incalliti della correzione sono pronti a dimostrarti che senza correzione non c’è apprendimento non c’è evoluzione e, se proprio questi ci sono, sono molto rallentati dall’assenza di correzioni.

Allora, senza entrare nel dettaglio, si può osservare che se la correzione ha fatto trasformare tanti soggetti attivi in altrettanti sedentari vuol dire che come minimo un grave problema lo presenta, poi, tentando di mediare con chi non ci sta a mollare l’osso della correzione si potrebbe almeno convenire che prima di intervenire con una correzione sia importante capire il perché di un qualcosa  di esistente che si vuole correggere. Si parte sempre dal presupposto che un presunto modello ipotetico teorico sia meglio di quello esistente e reale. Siamo più portati a correggere che a tentare di capire. Se ci allenassimo a capire potremmo poi scoprire che la maggior parte delle correzioni che si propongono sono inutili presunzioni.

Facendo un esempio stupido, quando un allievo in palestra svolge un certo esercizio in un certo modo che si allontana sensibilmente dal modello proposto, invece che correggere immediatamente ci si potrebbe chiedere il perché di quell’esecuzione particolare e vedremo che dietro a quel movimento ci sono delle cause concrete, assolutamente non trascurabili e la cui comprensione ci può essere certamente di aiuto per valutare le capacità di movimento dell’allievo.

E’ chiaro che correggere è più facile che capire. Si propone un unico modello standardizzato come se si trattasse di esecuzioni di ginnastica artistica (e ho detto un parolaccia perché pure quella presenta delle individualità importantissime altrimenti tutti sarebbero uguali e non ci sarebbe alcun motivo di fare gare…) e si invita l’allievo a discostarsi meno possibile dal modello. Magari fosse così semplice. Invece ci troviamo a dover mediare delle soluzioni dove molte volte il successo o meno di una certa messa a punto di movimento non riguarda un aspetto agonistico e/o di rendimento sportivo ma un vero e proprio aspetto di funzionalità del  movimento. Se quel movimento viene razionalizzato in modo utile l’allievo resta se invece scatena dolori e rigidità muscolare l’allievo giustamente scappa e può arrivare alla conclusione che il movimento fa male, meglio le medicine… hanno meno effetti collaterali (sigh…).

A volte si corregge per fingere attenzione nei confronti di un certo allievo ma non c’è nulla di più falso ed inopportuno di un atteggiamento simile. L’allievo può essere ascoltato e con la massima attenzione anche senza correggere proprio nulla, è chiaro che un allievo che parla e presenta dei problemi richiede tempo, deve essere ascoltato e poi non puoi ignorarlo liquidandolo con una battutina su un esercizio. Pertanto la correzione viene a sembrare una sorta di vaccinazione, una specie di mossa preventiva contro eventuali richieste dell’allievo. Se si vuole instaurare un rapporto proficuo con un allievo bisogna parlare, non ci sono scorciatoie e a volte ascoltare tutti diventa tecnicamente impossibile per il numero degli allievi. Ma allora trincerarsi dietro all’istituto della correzione per mascherare tale situazione è doppiamente scorretto. Molto meglio ammettere: “Guardate, non riesco a seguirvi tutti perché siete troppi, proprio per questo fatemi sapere quali sono i vostri problemi perché potrebbero sfuggirmi.”

Allora una correzione, probabilmente piuttosto urgente, che gli insegnanti devono apportare al loro modo di raffrontarsi con gli allievi, è proprio questa: tentare di correggere di meno e di capire di più. E’ chiaro che ci vuole tempo. Senza tempo i miracoli non si possono fare e allora la speranza è che gli allievi chiedano di essere ascoltati più che di essere corretti perché l’allievo che vuole essere corretto ha certamente le idee poco chiare. “Se ti sputo in un occhio dammi una sberla…” – “No, tu non sputarmi in un occhio che io non ti do una sberla. Spiegami invece perché sei convinto dell’ipotesi che ti passi per la testa di sputarmi in un occhio…”. E quasi sempre viene fuori che questi sono stati corretti per cose per le quali non dovevano essere corretti e la metafora, quasi quasi casca perché questi con tali esperienze precedenti, davvero arrivano in palestra che avrebbero voglia di sputarti in un occhio.