JUANTORENA, LA LEGGENDA, IL KITSCH DI KUNDERA, LA POESIA ED IL GELATO

Juantorena è un uomo umile. Eletto da poco vice presidente della Federazione Mondiale di Atletica Leggera, unico atleta capace di vincere alle Olimpiadi sia nei 400 che negli 800 metri, entra nella storia, oltre che per questo, per quella falcata spropositatamente ampia che fa ricordare quella sua corsa estremamente elegante quanto costosa.

Vado a sentirlo parlare nel palazzo più importante della mia città e mentre raggiungo il luogo mi domando: “Chissà se ci sarà qualcuno che ha il coraggio di chiedergli se non pensa che, forse, correndo con un passo un po’ meno ampio avrebbe ottenuto risultati tali che oggi sarebbe ancora il primatista mondiale degli 800…” Poi rispondo a me stesso: “Io no di certo, non voglio fare il rompiscatole, farò una domanda sulla scuola di Cuba che sono convintissimo che, per quanto disastrata, in tema di avviamento allo sport è certamente meglio della nostra…”

Entro in sala e c’è niente popodimenoche Amel Tuka che è l’autore della miglior prestazione mondiale degli 800 di quest’anno, 1’42″51, un bel secondo meglio di quello che fece a suo tempo il leggendario Juantorena, Probabilmente non l’hanno riconosciuto, tant’è che Juantorena è già circondato da una folla che lo rende irraggiungibile mentre Tuka è lì da solo in un angolo assieme ad un traduttore che, fra l’altro, è mio amico (valido ottocentista di quegli anni ma con la falcata un po’ troppo ampia, diciamo… alla Juantorena!). Mi fiondo su Tuka, gli do la mano e gli dico “Grazie!” Tuka risponde con un sorriso sincero (perché questo è Tuka) mi da subito la mano e poi guarda l’interprete con un’espressione non preoccupata ma divertita (perché sempre questo è Tuka) che non è difficile tradurre così: “E questo da dove viene fuori ?!?”. L’interprete capisce tutto (non per nulla è mio amico) e traduce immediatamente: “Questo è un valido ottocentista locale di qualche annetto fa… ti sta ringraziando per quanto di entusiasmante hai fatto ai mondiali che ha reso la gara anche molto spettacolare da vedere…” Lo scambio di battute prosegue ed io sono già contento della serata perché penso: “Ho già approfittato del fatto che Juantorena è sommerso dalla folla per salutare nientepopodimeno che Tuka che è il mio idolo attuale dell’atletica, quello capace di tenermi incollato  davanti alla televisione che tanto detesto”.

Poi la serata parte ufficialmente e si inneggia al mito del campione. Juantorena ascolta pazientemente e diciamo pure che per descrivere la leggenda si dicono anche delle cose un po’ assurde tipo la panzana sull’ampiezza del suo passo che, si terribilmente ampio, non era certamente di misure che anche un bambino riesce a capire come siano impossibili tanto più in una gara che, anche se molto veloce, tutto sommato fa già parte del regno del mezzofondo.

Oltre alla leggenda respiro anche il Kitsch di Milan Kundera, perché quando le presentazioni sono un po’ troppo prolisse ed incensanti mi viene sempre in mente quella creazione di quello scrittore ceco che sulla descrizione di questi momenti ci ha fatto una fortuna. Esiste un “Kitsch” di Milan Kundera, ed è difficile da spiegare perché se l’è inventato lui ed è, in poche parole, questo, quando una folla di persone resta estasiata a sentire anche un sacco di balle oltre che un tot. di realtà, perché il sacco di balle fa da degno contorno di una situazione che ci rende tutti più buoni ed azzera assolutamente le nostre capacità critiche.

Juantorena è umile, e quando finalmente prende la parola non focalizza sulle “esagerazioni” ma contestualizza la sua carriera nel momento storico di Cuba. Dice di quanto fosse importante per Cuba avere visibilità nello sport in quel momento ed è come se dicesse: “Insomma c’era questo compito da fare e l’ho fatto io perché qualcuno doveva farlo…”.

Poi arrivano le domande, un mio compagno di club che, come me, quest’anno festeggia i trent’anni di record sociale (lui sui 1500 io sugli 800, tristezza dell’atletica italiana: non è possibile che dei record sociali possano durare trent’anni, cos’è accaduto in questi trent’anni?) chiede lumi sulla precisa entità cronometrica di allenamenti leggendari che all’epoca si narrava che riuscisse a svolgere il mitico “caballo” cubano. Juantorena mostra un’ agilità insospettata e dribbla la domanda  (lui in gara non dribblava mai nessuno ed era costretto a stare in testa per questa sua incapacità di destreggiarsi nelle situazioni tattiche) dicendo che lui aveva un gran recupero e, anche grazie a quello è riuscito a vincere in due discipline diverse. Poi, conferma la sua umiltà dichiarando che, essendo prima gli 800, i più faticosi, aveva pure paura di non portare a casa nulla gettandosi in questa avventura perché la vicinanza dei turni eliminatori poteva rendere molto problematico il tutto. Io continuo a pensare (l’ho sempre pensato) che Juantorena è stato un grande ma di questa domanda mi resta solo una risposta: che il dilettante che faceva allenamenti da professionista, allenamenti veramente leggendari ed assimilabili a quelli dei grandi campioni, era proprio chi ha posto la domanda cioè, si può pure fare nome e cognome, il dottor Alberto Fontana. Fontana, capace di 3’44” sui 1500, correva prove in allenamento che anche i millacinquecentisti da 3’38” facevano fatica a sostenere. Cosa facesse “el caballo” Juantorena non si sa, cosa faceva Alberto Fontana, noi veronesi l’abbiamo visto con i nostri occhi. La serata prosegue in questo misto di leggenda e kitsch, sento che è arrivato il mio momento, devo fare la mia domanda. Sono titubante perché parlare della scuola italiana in tema di sport è scandaloso, ci sono anche ragazzini in sala e non vorrei che ne subissero qualche trauma. Mi getto e dopo aver tagliato il commento del moderatore (altro mio amico) che stava cominciando ad incensare pure me, sbotto: “Vorrei sapere un po’ l’atteggiamento della scuola a Cuba, la scuola come istituzione, non la scuola dello sport, la scuola che frequentano tutti i ragazzini… concede ampio spazio allo sport e lo considera importante nel processo di formazione dello studente… oppure è come in Italia che delega questo importante compito ad altre agenzie?” El “caballo” mi risponde subito che a Cuba sono pure capaci di bocciarti se trascuri l’educazione fisica e che Cuba, anche se è un piccolo stato e certamente non ricco, è dotato di una scuola che concede ampio spazio allo sport. Poi, per farmi capire che l’argomento è importante, si prodiga in una risposta chilometrica che mi fa quasi sentire in imbarazzo nei confronti degli spettatori in  sala. Ho messo  il dito nella piaga, questa è una buona risposta per Juantorena ma un bruttissimo argomento per noi italiani che, al momento, alla scuola siamo in grado di chiedere solo un patto di “non belligeranza”. Se la scuola italiana non ha i mezzi, gli spazi, le strutture per promuovere lo sport, almeno che si adoperi per non ostacolarlo, prevedendo, nella sua organizzazione, che gli studenti sono costretti ad arrangiarsi personalmente e quindi, a volte, anche perdendo molto tempo per poter andare ad usufruire di strutture sportive che non sono presenti sul territorio o, comunque, sono molto distanti da scuola.

Il moderatore è un moderatore e come tale riesce a ricondurre tutto nei binari del “volemose ben” (vogliamoci bene, in veneto), cita nientepopodimenoche la poesia e dice che per certi versi Juantorena è anche un poeta. Lo ammetto anch’io perché è protagonista di un’atletica leggendaria che non esiste più. Ma io ormai sono partito per la tangente e quando si cita la poesia non posso fare a meno di pensare ad altre cose. Ed allora, per esempio, penso che in sala c’è Loris Pimazzoni che, all’epoca era l’atleta che correva a tre minuti al chilometro con una facilità che noi veronesi non abbiamo più visto, nemmeno in tv. Non a caso un veronese, a fine serata, mi chiede “Ascolta, tu sei veronese? Bene, allora portami da Pimazzoni che dicono che sia in sala, io ho stima di Juantorena… ma la foto la voglio con Pimazzoni!”

Poi, quando si parla di passaggi al primo giro, penso a Gabriele Ferrero atleta trevigiano con un talento infinito, che in una gara regionale era in grado di improvvisarti un primo giro degli 800 da record del mondo. Poi rallentava perché lui non era Juantorena, intanto, per pochi intimi, senza televisioni, ti aveva fatto vedere come si fa a fare un primo giro da record del mondo senza dare nessuna sensazione di fatica, dovevi avere il cronometro sott’occhio per capirlo altrimenti non te ne saresti accorto.

Si parla di record del mondo battuti, di quando Sebastian Coe (attualmente presidente della Federazione Mondiale di Atletica) stracciò il record del mondo di Juantorena, massacrandolo letteralmente (un secondo ed 11 centesimi di progresso in un colpo solo, il più grande miglioramento nella storia degli 800 da Rudolf Harbig in poi…). Dalla poesia, nel mio intimo, passo alla comicità e preparo la mia domanda per Juantorena per dopo, quando finalmente la folla avrà allentato la sua morsa ed io potrò fare tranquillamente la mia battuta al mitico “caballo” da comune mortale  a comune mortale.

Seb Coe assomigliava a Renato Rascel, nel fisico e nei lineamenti. Renato Rascel che strapazza “el caballo statuario” è comico e fantastico al tempo stesso e sarà l’argomento della mia osservazione.

Siamo al buffet, è tardi, Juantorena è isolato, la gente sta mangiando, i pasticcini sono più forti della leggenda (Kundera…), è il mio momento, mi sento Sebastian Coe che va ad attaccare el “caballo”. Lo avvicino e nel mio spagnolo da serie “B”, goffo ma fortunatamente comprensibile, gli dico “Scusami sai, ma il giorno che Sebastian Coe ti ha battuto il record io ero felice. Sai perché? Perché tu sei una montagna (e mimo le sue proporzioni) e si stava diffondendo fra i tecnici l’idea che per fare il record del mondo degli 800 bisognava avere il tuo fisico… arriva uno come Sebastian Coe (e mimo le proporzioni di Coe che è più piccolo di me…) e ti massacra il record. Io quel giorno ho capito che gli ottocento metri potevo correrli anch’io e non c’era bisogno di essere una montagna di muscoli come te…” Juantorena sorride e mi dice “Gli 800 sono per tutti, alti e bassi, grossi e  magri, bianchi e neri, bisogna solo avere una gran forza di volontà”. Torna il buonismo ed io, solo per qualche istante, penso a qualche disgraziato che quasi senza allenarsi andava vicino al record del mondo e proprio di buona volontà non ne aveva, ma non replico. Saluto cordialmente el “caballo” e penso già all’osservazione che farò a Coe se mai un giorno dovessi vederlo. “Caro Sebastian (e questa è realtà, oltre che poesia e comicità…) il giorno che tu hai fatto il record del mondo sui 1500 per me è stata una serata triste. Avevo appena fatto una gara molto scadente, sono andato a casa e mi sono comprato una vaschetta di gelato da un chilo. I miei genitori erano in vacanza e non avevo nemmeno voglia di farmi la cena da tanto deluso che ero. Così, davanti a quella vaschetta da un chilo di gelato, solo soletto, ho visto quel record del mondo in diretta alla televisione ed ho pensato tristemente: “Qui butta proprio male, io che sono decisamente fuori forma e questo qui che ti fa il record del mondo. Qui si rischia di non raggiungerlo proprio più…”. Non l’ho più raggiunto ma quando degusto quel gelato di una fantastica gelateria veronese che, giustamente, esiste ancora penso: “Beh, è sempre buono… e poi stasera me ne basta meno di un chilo perché Sebastian Coe non ha fatto nessun record del mondo!”