IL SALTO DI QUALITA’ E LA SPECIALIZZAZIONE PRECOCE

Fra i vari inconvenienti che può provocare la specializzazione precoce ce n’è uno, molto spesso sottovalutato ma facilmente documentabile, legato al famoso “salto di qualità” che nello sport agonistico definisce quella situazione dove lo sportivo di alto livello finalmente approda a livelli di eccellenza. Nella maggior parte degli sport, salvo eccezioni (mi viene da pensare alla ginnastica artistica dove la dote dell’elasticità che arriva ai massimi livelli ben prima di altre doti è di importanza fondamentale), l’età del massimo rendimento sportivo è collocata attorno ai 25-30 anni perché è in quella fascia di età che vanno a fondersi i miglioramenti delle varie doti e della tecnica sportiva in un cocktail che prima fatica ad esprimere i livelli massimi.

Nei soggetti specializzati precocemente il grande spauracchio è che questa lenta maturazione venga ostacolata e che l’atleta non giunga mai ad esprimere il massimo delle proprie possibilità perché quando dovrebbe essere il momento giusto ha già sparato le cartucce che poteva sparare.

Pare un discorso assurdo e verrebbe invece da pensare che possa logicamente correre più facilmente questo rischio l’atleta che è in ritardo nel processo di specializzazione e come tale arriva a maturazione sportiva in un momento nel quale ormai le doti fisiche non sono più al top. Tale evenienza può anche esistere ma è piuttosto di raro accadimento e legata a situazioni particolari di atleti che per circostanze diverse non sono stati liberi di prepararsi razionalmente nella fascia di età compresa fra i 18 ed i 22 anni circa e che per cause varie si sono messi a concludere il processo di specializzazione un po’ tardino, quando dovevano già essere quasi al massimo e quindi verso i 25 anni.

No, al contrario, accade più spesso che atleti che già verso i 20 anni hanno prodotto risultati sportivi di notevolissimo livello, verso i 25 non siano capaci di approdare a quella maturazione sportiva decisiva, con relativo “salto di qualità” delle prestazioni, in grado di collocarli al vertice dello sport dove dovrebbero stare in base a quanto già ottenuto nelle categorie giovanili.

C’è una strutturazione dello sport agonistico, e non solo in Italia, che sfocia in una sorta di professionismo dei giovani, che incentiva a rincorrere la specializzazione precoce e molto spesso si rinuncia a valutare tutti i concreti rischi della stessa ritenendo che il rischio più grosso sia quello di non riuscire ad approdare allo sport di alto livello entro una certa età (per alcuni sono già i 18-19 anni della già possibile entrata nei gruppi sportivi militari).

Ma per quali motivi un atleta che a 20 anni ha già fornito risultati di altissimo livello non può produrne di ancora migliori quando le sue doti fisiche sono ulteriormente migliorate qualche anno dopo e quando la tecnica sportiva si è ulteriormente evoluta (e questa a volte continua a migliorare anche quando l’atleta ha superato i 30 anni come nel caso assolutamente, non infrequente, dei lanci in atletica leggera)?

Le leggende dicono che il fisico è già logorato ed è già stato sottoposto a carichi di allenamento da atleta adulto ma molto spesso queste sono leggende metropolitane anche perché i giovani con le doti psicologiche necessarie per sottoporsi ai carichi di allenamento di un atleta adulto sono abbastanza pochi. E’ possibile che per qualcuno sia effettivamente così ma non per un grande numero di atleti.
Eppure il numero di atleti che a livello giovanile esprimono risultati di altissimo livello senza poi avere risultati equiparabili più avanti e quindi significativamente più elevati non è per niente basso, anzi è un numero alto in modo preoccupante che deve far pensare ad un danno da specializzazione precoce più diffuso di quanto razionalmente intuibile.

Per far capire il collegamento fra “mancato salto di qualità” nell’età del  massimo rendimento e specializzazione precoce è necessario focalizzare un attimo sul concetto piuttosto nebuloso e vago di “salto di qualità”.

Allora il “salto di qualità” ha in sé un qualcosa di un po’ magico e forse troppo poco scientifico per poter essere codificato con attendibilità e rigore scientifico. Da un punto di vista scientifico si dice che certe doti fisiche continuano a crescere fino ad una certa età e, salvo casi particolari (come nella ginnastica artistica appunto dove il precoce calo dell’elasticità può frenare i risultati già molto presto), l’atleta dovrebbe continuare a crescere in modo omogeneo fino ai 25-30 anni, ma non è così e anche se non è scientificamente spiegabile è comunque statisticamente dimostrabile che c’è un qualcosa sotto.

Intanto un fatto motivazionale legato all’organizzazione sportiva. Il giovane di alto livello di 18-20 anni viene preso da un vortice che lo porta a massimizzare la propria prestazione sportiva in quel periodo, se non lo fa in quel periodo difficilmente riuscirà a farlo più tardi quando altri problemi sociali hanno già condizionato la sua esistenza in modo decisivo. Il “salto di qualità” gioca il suo ruolo nel senso che viene a concretizzarsi proprio in questi anni più che in quelli del massimo rendimento dove sarebbe opportuno che si concretizzasse. Per essere più chiari bisogna togliere un po’ di alone magico a questo “salto di qualità” e spiegare perché si verifica. Allora il “salto di qualità” è un po’ come una sorta di “premio di maggioranza” per usare un linguaggio che con lo sport non ha proprio nulla a che fare, che si concretizza nel momento in cui l’atleta migliora tutta una serie di parametri di prestazione sportiva che lo portano ad un miglioramento decisivo. E’ un  po’ come quel partito che azzecca una grande campagna elettorale ottiene un consenso clamoroso e poi, come se non bastasse, ha pure il premio di maggioranza e dunque va a piazzare i suoi personaggi un po’ dappertutto approfittando di questo momento di grazia.

Perché si verifica? Qui non c’è nessuna legge elettorale che stabilisce che l’atleta che già ha migliorato per il miglioramento di una serie di fattori di prestazione deva migliorare ancora di più. Ed invece la legge c’è perché anche se non è scritta come quella elettorale è comunque rilevabile statisticamente. Quando l’atleta migliora in modo sensibile le proprie prestazioni il miglioramento globale della prestazione sarà anche superiore alla somma del miglioramento dei vari fattori di prestazione e capire se è per motivi psicologici o per un sistema di sinergie di altro tipo è difficile ma, in ogni caso, quello che noi definiamo in modo curioso “salto di qualità” nello sport non è una leggenda ma una cosa che nella carriera dell’atleta si manifesta sempre almeno una volta. E questo è il punto. Il salto di qualità è una cosa eccezionale e non possiamo pensare che nella carriera di un atleta si possa manifestare tutti gli anni. In una carriera sportiva potrà anche manifestarsi due o tre volte ma difficilmente di più. E allora si può cominciare ad intuire perché un atleta che ha già ottenuto risultati notevoli a 20 anni può accadere che negli anni successivi migliori ancora ma di poco e senza più salti di qualità decisivi. Io ho la mania di fare esempi concreti con veri e propri numeri (così dopo, giustamente, passo per quello che “da i numeri”) e non riesco ad evitarlo nemmeno in questa situazione. Facciamo il caso di un ottocentista dell’atletica che, come ci insegna la storia della disciplina, è una specialità dove si può benissimo dare il top attorno ai 27-28 anni con tanto di record del mondo e titoli olimpici vinti a questa età. Alla faccia di questo dato statistico vi sono molti atleti che arrivano quasi al massimo attorno ai vent’anni per poi avere nei sette-otto anni seguenti solo miglioramenti esigui che non li portano sulla vetta della disciplina. Dando i numeri: il talento in questione inizia a correre verso i dodici-tredici anni (visto che non si può più giocare per strada i ragazzini italiani sono spediti al campo sportivo ben prima…) e per qualche anno fa un po’ di tutto correndo anche su distanze a lui non congeniali. A 15-16 anni il primo salto di qualità perché  (per esempio…)  gli piacciono gli 800 metri come specialità e deve dimostrare a sé stesso ed all’allenatore che lui è portato per quella disciplina. Così fa il primo salto di qualità e con un minimo di specializzazione corre già gli 800 metri vicino ai 2′. giusto per far capire che è un potenziale talento nella disciplina. A diciotto anni l’allenatore gli dice che davvero è un potenziale talento e dunque è giusto che si alleni di più perché può dire la sua in quella disciplina. In poco tempo si trova a poco più di 1’50” sugli 800 ed è uno dei giovani più interessanti del momento. Anche i tecnici federali lo considerano e cominciano a dire che se fa le cose sul serio ha anche la possibilità di fare atletica con una certa tranquillità nei gruppi sportivi militari. Il giovane ci tiene, è appassionato, si allena ancora di più e così, terzo salto di qualità, approda a quell’1’47” che può garantire il suo tesseramento in un club pseudo professionistico. Ormai è qualcuno ma non è esaltato perché, anche se ha già vinto molto, è ancora uno dei tanti e non certamente un “numero uno” che come tale può andare in crisi esistenziale. Molto semplicemente a livello fisico ha già sparato delle cartucce, certamente non tutte, ma qui casca l’asino, o meglio l’atleta che non ha previsto proprio tutto, ha già giocato i suoi Jolly dei famosi “salti di qualità”. Ha sette-otto anni di tempo per giocarsi un eventuale ultimo Jolly ma il presunto 1’43”-1’44” che a quel punto dovrebbe venire fuori anche abbastanza naturalmente (correva in 1’47” già a vent’anni…) non viene fuori ed invece vengono fuori delle stagioni altalenanti con alti e bassi e con eventuali piccoli miglioramenti non significativi che non lo fanno cambiare di rango.

La maggior parte degli atleti italiani (ma non solo) vanno a caccia del “salto di qualità” (che non è una leggenda ma una cosa che anche se scientificamente poco spiegabile esiste) troppo giovani e anche se il loro fisico nell’età del massimo rendimento è ancora integro non è capace di produrre il top della prestazione perché i famosi “salti di qualità” sono stati giocati prima.

A questo punto non dobbiamo più valutare la specializzazione precoce solo per quella spiacevole evenienza che può bloccare la maturazione sportiva di un certo atleta ma anche come quell’accidenti che, pur senza dare inconvenienti fisici, è in grado di sottrarre energie anche psicologiche necessarie a quel momento della carriera agonistica decisivo che nella maggior parte dei soggetti è collocato attorno ai 25-30 anni.

Insomma la fisiologia ti dice che bisogna aspettare con calma e sparare le cartucce al momento giusto. L’assetto sociale e pure quello dell’organizzazione sportiva ti dicono che comunque devi fare risultati di alto livello già prima. Lo scontro è aperto.