IL FALLIMENTO DELLA DIDATTICA A DISTANZA

Si narra di un noto e bravo allenatore delle mie parti che seguendo la preparazione di un atleta keniano avesse provato a trasmettergli un piano di allenamento a distanza. Poco dopo la ricezione dello stesso l’atleta ha reclamato che cosi non poteva funzionare. Lo schema era su base settimanale ma la cosa non era molto chiara perché l’atleta al lunedì aveva svolto la preparazione di lunedì, di martedì, di mercoledì e parte di quella del giovedì, arrendendosi all’evidenza, circa a metà della preparazione riservata al giovedì, che quello schema di allenamento per un giorno solo era veramente troppo…

Non so se la racconti molto in giro quell’allenatore questa vicenda ma non ha proprio nulla da vergognarsi in proposito. A parte che è un allenatore stimato da tutti che con un altro atleta keniano è pure giunto al titolo olimpico e pure con l’atleta oggetto dell’equivoco mi pare che abbia conseguito ottimi risultati, ma, in ogni caso, questo appena citato è un esempio di fallimento di didattica a distanza solo parziale e assolutamente non irrimediabile, una cosa molto meno grave di quanto sta accadendo da ormai troppo tempo nella scuola italiana. Quel grottesco errore si è evidenziato poche ore dopo la sua concretizzazione anche se in poche ore è riuscito a creare problemi già per una settimana, ma al di là di un potenziale stato di affaticamento che per quel tipo di atleti si può risolvere anche solo in un paio di giorni ha testimoniato una cosa molto importante: che fra quell’atleta ed il suo allenatore c’era un grande rapporto di fiducia. Una comunicazione decisamente sbagliata d’accordo e tempestivamente rettificata, ma un livello di fiducia notevolissimo perché voglio vedere qual’è l’atleta che svolge il programma indicato dal suo allenatore facendo in un giorno per errore di interpretazione tre volte e mezza il carico di allenamento che dovrebbe fare solo perché ha capito male senza ipotizzare che quella sia pura follia.

Come sempre dallo sport mi sposto alla scuola che come cosa indirizzata ai giovani ritengo fatto estremamente collegato allo sport.

A scuola avviene esattamente il contrario: la comunicazione è abbastanza precisa, è il rapporto di fiducia fra insegnanti ed allievi che è venuto a mancare e questo evento nefasto per conto mio non è colpa dei computer, non è colpa degli allievi che non capiscono niente e non è nemmeno colpa dei programmi ministeriali ai quali si da sempre la colpa di tutto. Perché se il programma ministeriale con la didattica a distanza non è umanamente svolgibile c’è solo una cosa da fare: si rinuncia a perseguirlo senza aspettare che cambino leggi che non cambieranno mai.

L’atleta keniano ad un certo punto ha detto che non poteva fare in un giorno solo tutta quella preparazione. Gli studenti italiani non si rendono conto che con la didattica a distanza sono letteralmente presi in giro e pressati ancor più che se fossero a scuola. Ci sono ragazzi che devono chiedere per andare in bagno a casa loro, altri costretti a rispondere a domande stando con le spalle rivolte al monitor, cose da telefono azzurro. Queste cose non avvengono per colpa dei programmi ministeriali ma perché alcuni insegnanti non hanno capito come ci si deve relazionare con gli allievi con la didattica a distanza e continuano a perdere ottime occasioni per usare i programmi ministeriali a loro discrezione invece di subirli come un’inutile gabbia che ostacola l’insegnamento. Un insegnante che durante la didattica a distanza non ha il coraggio di rivedere i suoi programmi perché ha paura di essere criticato è un insegnante che non ha passione per il suo lavoro perché chi vuole tenere un buon rapporto con gli allievi capisce benissimo che in questa situazione bisogna avere una grande elasticità ed una grande capacità di rivedere tutti i programmi a costo di andare in conflitto con i dirigenti scolastici, con i genitori onnipresenti che si intromettono sempre in tutto e con chiunque non abbia l’elasticità di capire che un buon rapporto di fiducia fra allievo ed insegnante è ancora più importante della quantità di informazioni trattate per fare evolvere il processo di apprendimento.

Torniamo al solito discorso della scuola che non si vuole evolvere e perde tutte le occasioni possibili per farlo. Se la scuola è il luogo della trasmissione delle informazioni allora l’unica via perseguibile è quella di restare più aderenti possibile ai soliti schemi, se invece la scuola è un luogo di crescita dove si “scopre” più che ripetere allora tutti sono in gioco, anche gli insegnanti che devono scoprire giorno dopo giorno come adattarsi ai nuovi problemi di insegnamento senza rendere insopportabile un sistema che sarà anche meno efficace di quello della didattica in presenza ma non sta scritto da nessuna parte che deva essere più pesante.

Si è persa l’occasione per rendere l’intero carico di studio più sopportabile in nome dei famigerati programmi ministeriali quando era proprio l’occasione giusta per svincolarsene in nome di una scuola meno nozionistica e più gradevole.

Purtroppo nella scuola italiana regna la convinzione che l’apprendimento gradevole sforni solo asini e che gli ostacoli vadano superati solo con ore e ore di studio e grande impegno da parte degli studenti. L’allievo più bravo è quello che studia di più, punto e basta. Era logico che un atteggiamento del genere producesse una didattica a distanza noiosa, ancora informata dal concetto delle verifiche che sono sempre di più e sempre più stressanti e dove il nozionismo non concede tregua.

Da questo punto di vista mi auguro che la didattica a distanza termini quanto prima e che gli studenti italiani tornino un po’ a respirare.

Se proprio dovesse durare ancora molto allora mi auguro che gli studenti italiani si sveglino fuori e non si facciano prendere in giro ma non chiedendo di andare a scuola prima del lecito (non è rimettendoci la salute che salvi la scuola italiana…) bensì avendo il coraggio di far capire che la didattica a distanza non può funzionare così ma deve essere rivista nella sua filosofia.

L’atleta keniano, pur con una gran fiducia verso il proprio allenatore, ad un certo punto ha fatto capire che quel carico di allenamento era un po’ troppo sostenuto. Gli studenti italiani devono avere fiducia nei loro insegnanti e far capire molto garbatamente che così non funziona.