IDEALIZZAZIONE – 3

Di Rocky ne hanno fatti sei. Sull’idealizzazione non so se dovrò arrivare a sei articoli ma so solo che è un concetto troppo importante per potersi permettere il lusso di trattarlo con superficialità e poca chiarezza.

Ho tirato in ballo accostamenti nientepopodimenoche fra l’amore e lo sport in articoli precedenti per dipanare il concetto e spero che almeno qualche idea sia passata, in ogni caso sono convinto che l’idealizzazione sia un motore della nostra vita e ci condizioni praticamente in tutti gli ambiti dell’esistenza e pertanto anche in cose importantissime quale l’amore (ma io, se non si fosse capito nei 1500 articoli precedenti, ritengo terrbilmente importante anche lo sport…).

Riassumendo le precedenti puntate (…) potrei dire che l’idealizzazione se ne fa un baffo della realtà oggettiva e questa è la sua grande potenza. Non so se devo scomodare addirittura Platone per dire che talvolta l’idealizzazione può diventare realtà oggettiva perché è comunque una forza, una realtà che ha una sua oggettività incontestabile.

Facciamo un esempio terra terra per spiegarci. Sul posto di lavoro si può vivere una certa attività con entusiasmo o con affanno a seconda di una certa idealizzazione. L’attività lavorativa è sempre quella con lo stesso tipo di impegno ma in una situazione fila via liscia senza peso mentre in un’altra pesa in modo insopportabile. Come può accadere se il tipo d’impegno è simile? Semplicemente per una condizione psicologica che è sostenuta dalle idee. Nel caso ottimale può essere che sul posto di lavoro vi sia un ottimo rapporto con il datore di lavoro che si vede come una persona simpatica che non ci sfrutta e che si da da fare per portare avanti la baracca avendo rispetto di tutti e considerando anche il benessere psicologico dei dipendenti. In un altro caso, un po’ disgraziato, si può avere la sensazione che il datore di lavoro sia un emerito farabutto al quale del personale non gliene frega niente tanto ne trova finche vuole approfittando della moda della finta disoccupazione inventata per far sopravvivere i datori di lavoro farabutti che purtroppo non sono pochi in giro per il mondo.

E’ chiaro che è un modo di lavorare decisamente diverso. In un caso sono contento del mio lavoro e mi sento complice di un qualcosa che funziona, un qualcosa di bello, utile a me e a chi me lo propone. Nell’altro caso ho la sensazione di essere una pedina anche non troppo importante di un ingranaggio che non merita di stare in piedi e soprattutto non merita il mio impegno e la mia dedizione. Con quello spirito non si può lavorare bene, meglio cambiare mestiere.

In entrambi i casi la realtà oggettiva della professione è identica ma è alterata in modo sostanziale da un diverso approccio di “idee”. In questo caso è proprio opportuno dire che sono le idee a fare la differenza ed in un modo che alla fine è oggettivo e porta a due realtà diverse.

Dunque Platone vince, le idee sono realtà e talvolta sono pure più importanti della realtà oggettiva stessa.

L’idealizzazione nello sport gioca in molti modi diversi e può giocare bene, anche molto bene o anche maluccio ed è proprio il caso di rendersene conto.

Gioca maluccio per esempio quando ci si pongono obiettivi troppo difficili da raggiungere che creano ansia e disagio invece che fiducia e divertimento.

Gioca bene quando un certo obiettivo razionale diventa molla per l’attività e la motivazione principe per la quale inisistere con l’attività.

Nello sport agonistico di alto livello, inutile negarlo, esiste una motivazione economica importante ma una buona idealizzazione fa sì che si riesca a superare anche questo tipo di motivazione con altre di ancora più forti.

Di più forti del danaro per me che sono un inguaribile romantico c’è la motivazione emozionale legata agli affetti. Se lo sport viene visto solo come un lavoro per guadagnarsi la pagnotta è certamente importante ma riduttivo. Non sono convinto che un record del mondo venga fuori solo perché aumenta il premio economico per il suo ottenimento.

Un capitolo interessante dell’idealizzazione può rigurdare la sua strutturazione razionale e qui il concetto si complica perché se siamo in presenza emozioni scatenate dalla sfera affettiva c’è poco da razionalizzare e strutturare, si tratta semplicemente di vivere le emozioni nel modo più tumultuoso possibile che è l’unico che si presta per la sfera affettiva. Reprimere i sentimenti fa male alla salute e che si possa viverli in un certo modo o si sia costretti a viverli in un certo altro non si tratta certamente di ignorarli. Il concetto di sublimazione nello sport è un altro concetto molto importante e che giustifica il connubio sport-sentimenti.

Da questo punto di vista esiste un primato della motivazione affettiva su quella economica ma anche un limite della prima. Mentre la motivazione economica si può sempre alimentare artificialmente e basta che arrivi un magnate appassionato di un certo tipo di sport che caccia fuori cifre astronomiche (solo per… passione!) un altro tipo di passione non si può alimentare in nessun modo artificiale e necessità di condizioni che in modo aritificiale non si possono alimentare.

In un gioco di parole che si è già evidenziato nelle righe precedenti in effetti anche il magnate a volte finanzia un certo sport in modo spropositato pur non avendone un ritorno economico certo solo per passione e dunque assume un contorno passionale pure il finanziamento. Al vero campione che funziona con la forza delle idee della passione del magnate non gliene frega proprio niente ma allo sport in genere può far comodo proprio più il capriccio del magnate che la passione del campione. In un modo o nell’altro sono idee che danno vita a realtà indiscutibili.

Sintetizzando le idee sono certamente importanti e poco si prestano ad una razionalizzazione dunque ad una strutturazione programmata, ci si può pensare su eccome, anzi sono convinto che valga decisamente la pena si pensarci su ma non ci si può illudere di girarle in un certo modo solo per necessità di programmazione. Le idee non programmano di venire fuori secondo una certa logica.