EMPIRISMO E METODO DIRETTIVO

Per conto mio nel mondo dello sport il metodo direttivo non dovrebbe nemmeno esistere.

Però, dopo questa uscita bomba, forse è il caso di procedere un po’ più con calma, con umiltà e tentare di far chiarezza su alcune cose.

Essenzialmente dico che il metodo direttivo nello sport non dovrebbe esistere perché se è vero che lo sport è un gioco, uno svago, una “distrazione” com’è nell’etimologia della parola, allora non ha molto senso cercarsi dei “direttori” anche lì, visto che nella comune esistenza siamo già abbastanza “diretti” in fin troppe cose.

E fin qui quasi tutto semplice, almeno apparentemente, questa è un’opinione, condivisibile o meno, quasi una questione filosofica e molti potranno essere d’accordo sul fatto che visto che deve essere divertente è inutile farsi “dirigere” rischiando di farla diventare una cosa meno divertente, mentre altri diranno che proprio perché è importante divertirsi allora è una cosa che è importante fare bene e se si vuole farla bene è necessario essere diretti per non perdere troppo tempo in errori evitabili.

Poi però c’è una questione più complessa sulla quale dobbiamo metterci d’accordo sui termini altrimenti non ne veniamo fuori. Probabilmente questi (e sottolineo probabilmente…) sono gli anni del trionfo dell’empirismo, dove per empirismo, lasciando perdere le varie correnti filosofiche, intendo praticamente tutto ciò che non c’entra con il metodo cartesiano e che a questo si contrappone. Il fallimento della scienza, della ragione sta nell’esistenza dei “terrapiattisti”. Non dico che i terrapiattisti abbiano ragione, anzi una volta tanto mi schiero con chiarezza da una parte, io non sono terrapiattista, per conto mio la terra non è per niente piatta, è proprio tonda tonda, anzi ad essere ancora più precisi è un geoide che insomma con un po’ di fantasia si può assimilare alla sfera visto che ci assomiglia molto ma di piatto ha solo alcune pianure che se sono veramente grandi finiscono per essere “curve” proprio perché la terra non è per niente piatta.

Il fatto che esistano i terrapiattisti anche che siano tre, quattro, 28 o 56 dimostra comunque che la scienza del metodo cartesiano come comunemente intesa, quella praticamente inattaccabile perché intrisa di razionalismo, qualche errore di comunicazione l’ha commesso.

Senza essere terrapiattisti si può pure dire che il metodo empirico ha una sua validità e, se non fosse per altro, anche la sola opportunità di mettere in discussione il metodo cartesiano e è già un’idea che può far evolvere la scienza.

Ho già riferito come questi discorsi potenzialmente astratti possano essere affrontati meglio nello studio del movimento che non nello studio della medicina. La medicina ha l’obbligo morale di trovare delle convergenze su alcuni punti cardine, la scienza del movimento (se così la si può chiamare e non invece “arte del movimento”) non ha quell’obbligo. Un esempio quanto mai attuale, in tema di covid ci sono certamente delle incertezze, delle cose poche chiare, ma  la comunità scientifica deve comunque poi giungere ad una sintesi per dare delle indicazioni alla popolazione anche se certezze assolute non ce ne sono. Allora verranno fuori i contestatori che dicono che la mascherina non serve a niente e che siamo tutti alla follia ma se la scienza si è accordata su certe cose non si può ignorare la realtà della scienza e non si può fare il dissidente con il sedere degli altri ma solo con il proprio.

Per cui se volete sapere la mia in tema di mascherina perché alla fine alla gente dell’empirismo gliene frega poco ma ha solo curiosità pratiche di metodo e di comportamento io dico che la mascherina in mezzo alla folla va usata anche solo per un fatto di educazione, anche se non ci credete, perché questa è la realtà del nostro tempo, contestabile ed analizzabile fin che volete ma innegabile.

Poi, giusto perché devo prendermi critiche da entrambe le parti, io vi confesso che la mascherina in posti isolati non la tengo proprio mai, non credo che un mio starnuto possa infettare il terreno provocando il contagio di un malcapitato che viene ad inspirare gli effluvi del mio starnuto dopo un  tot. di tempo nemmeno se depositati sull’asfalto o sull’erba o chissà dove, non su una ringhiera che ho l’educazione di non  colpire se starnutisco perché a quel punto posso turbare le fantasie di chi ha paura di struscicare quella ringhiera pochi minuti dopo che sono passato io proprio nel punto nel quale alcune goccioline del mio starnuto si sono depositate su quella ringhiera.

Ma questa è la medicina e l’arte del movimento è un altra cosa. In medicina dobbiamo obbedire a certi protocolli che ci crediamo o meno, nello sport una volta soddisfatte le norme igieniche relative al covid ci si può allenare  come si vuole.

Anche lì esistono delle regole comunemente accettate e allora c’è chi in modo razionale distingue la forza, dalla resistenza, dall’elasticità e dalla coordinazione ma poi c’è chi dice che questa è tutta una bufala di categorizzazione, che esiste solo la coordinazione neuro muscolare e tutto il resto è subordinato ed imprescindibile da quella.

Vi dirò anche che questi ultimi sono un po’ i terrapiattisti del movimento ed io che, con riferimento alla scienza prendo le distanze dai terrapiattisti, in tema di movimento mi trovo ad essere una sorta di terrapiattista.

Come minimo sostengo una cosa piuttosto importante, che mentre in tema di medicina alcuni comportamenti sono obbligatori e anche se non ci credete dovete metterli in atto per un problema di convivenza civile, in tema di movimento, rispettate tutte le norme del quieto vivere (non posso giocare a calcio in mezzo alla strada trafficata perché così mi alleno meglio, sarà un’ottima scelta da un punto di vista tecnico, i migliori centravanti un tempo venivano fuori proprio così, ma devo fare i conti con norme di carattere sociale che non c’entrano niente con lo sport che pratico…), la scelta metodologica per migliorare in un certo sport ha decisamente senso che sia proprio libera ed informata da chiunque ma obbligata da nessun tecnico perché quel tecnico rischia di togliere un elemento fondamentale allo sport che è la sua giocosità. Allora può essere che un tecnico si presenti in una certa squadra dicendo: “Dove comando io si fa così punto e basta” e se c’è uno staff societario che appoggia quel tecnico quella diventa legge e se quel club è un club professionistico l’atleta è libero di sciogliere il contratto con il club se non vuol sottostare a quelle disposizioni, mentre in ambito dilettantistico l’atleta sarà altrettanto libero di dire: “Mi spiace ma se questo è lo sport che intendi tu io ne ho in testa un’altra idea”. Questo metodo, che è il metodo direttivo, è ancora molto applicato nelle società professionistiche e non fa molto i conti con le evidenze del metodo empirico.

E’ un sistema che io appoggio poco nello sport amatoriale perché ritengo che limiti troppo la fantasia dell’atleta, per spiegare tale mie convinzione devo però precisarne un’altra che fa da sfondo a questa.

Mentre nello sport professionistico il risultato è molto importante e l’atleta si “diverte” solo se giunge al buon risultato perché è quello che frutta danaro e pertanto il successo della carriera sportiva professionistica, nello sport amatoriale il risultato non è che una della componenti del divertimento nell’attività sportiva perché in questo tipo di attività, anche se molti non se ne rendono conto, una grande opportunità è proprio quella di muoversi come cavolo si vuole sperimentando modalità di movimento che nemmeno i professionisti che si allenano dieci volte tanto possono avere la possibilità di sperimentare.

Dunque il paradosso è che il professionista che si allena tantissimo per dinamiche legate al suo modo di fare sport può anche essere impossibilitato a scegliere autonomamente certe metodologie di allenamento mentre il dilettante che non ha contratti e vincoli di sorta, per assurdo può dilettarsi in esperimenti e tentativi che il professionista non può affrontare.

Ed è per questo che io ritengo che nello sport vero il metodo direttivo non abbia significato, sia semplicemente improponibile e non giustificato da finte esigenze di risultato che nello sport veramente dilettantistico non possono esistere.

A questo punto si capisce perché io invito spesso gli amatori a non scimmiottare i professionisti e nemmeno ad invidiarli. Dei professionisti dello sport si possono certamente invidiare i rimborsi spese ed i compensi (che, in un grande numero di casi, vanno ben al di là dei rimborsi spese e talvolta sono veri e propri compensi da capogiro) ma non è il caso di invidiare la serie di vincoli ai quali sono sottoposti e che possono di fatto limitare la giocosità e la fantasia dello sportivo.

Degli sportivi professionisti  mi piace citarne spesso uno che ha scatenato le folle negli anni ’70 nella città dove vivo io: è Gianfranco Zigoni, in arte “Zigo gol” che ha letteralmente fatto impazzire i tifosi del calcio a Verona in quegli anni. Gianfranco Zigoni non era un professionista e penso che non si offenda se scrivo così, perché penso che sia lui il primo ad ammetterlo. Da un punto di vista sportivo questa affermazione non toglie nulla al suo talento, anzi forse lo avvalora perché si può pure dire che se fosse stato un vero professionista avrebbe potuto avere un rendimento sportivo superiore. Era un vero e proprio artista e penso che sia per quello che ha fatto impazzire le folle anche se il Verona di quel tempo era un Verona ben distante da quello che poi riuscirà addirittura a vincere lo scudetto una decina di anni più tardi.

Ecco, allora, parlando di arte e con una strana licenza artistica, io mi lancio in una battuta di difficile comprensione che mi serve per spiegare il personaggio ed il bello è che in questo non scrivo delle sue finte, dei suoi goal o dei suoi numeri sul campo, tutt’altro, con fantasia descrivo il sentimento dei veronesi per Zigoni dicendo che questa è una sintesi di empirismo e di critica al  dualismo cartesiano. Il Verona di quel tempo non ha vinto lo scudetto, Zigogol non è l’attaccante veronese che ha segnato di più. I dati tecnici scientifici non spiegano per niente il fenomeno. No, per me Zigoni é questo e sottolineo che per altri centomila veronesi sarà novantonovemilanovecentonovantanove cose diverse e questa è la vera grandezza del personaggio sportivo.

Nella mia definizione Gianfranco Zigoni più che un calciatore è un sistema di controllo per la Polizia Stradale perché se ti fermano per strada e sulla carta d’identità c’è scritto che sei nato a Verona entro la fine degli anni ’60, questi alla lettura del documento possono benissimo dirti “Zigoni…” A quel punto se tu non reagisci possono pure ripeterlo gentilmente ma se anche dopo la ripetizione sei assente ti portano in questura per accertamenti ed hanno pure ragione perché quasi di sicuro quel documento è falso nel senso che se è autentico tu rispondi “Zigoni? Certo, Zigo gol!” e solo a quel punto ti possono rispondere “Bene, bene può andare…” Lo so che la battuta è “azigogolata” (la “r” non manca a caso…) ed e difficile da capire ma è l’unica cosa che possa spiegare compiutamente perché l’empirismo sia fortemente d’ostacolo al metodo direttivo in tutti gli sport. Molto semplicemente nello sport due più due non fa quattro. Se fosse così, secondo il metodo cartesiano, di gol Zigoni dovrebbe averne fatti un milione e ancora ci sarebbe qualcuno a dire “Ma non capisco tutta questa mitologia su un giocatore, in fondo ha fatto solo un milione di gol…”.