DOPING: IL PRIMO PASSO LO DEVONO FARE I GIORNALISTI

Non puoi lamentarti dell’omertà di chi “sa” in tema di doping se dopo tu sei il primo a dire che ti sei annoiato di scrivere di queste cose perché creano solo che fastidi. Anche se non sei un giornalista come operatore nel campo dell’attività motoria devi tentare di far chiarezza altrimenti fai il gioco di chi continua a sostenere questa pantomima ignobile del finto antidoping.

E’ proprio perché non sono un  giornalista che sono stufo di scrivere sempre le stesse cose rischiando di passare per un pazzo monotematico che scrive cose assurde… non confermate da nessun giornalista. Mi sento come Don Chisciotte contro i mulini a vento.

La cultura di massa la fanno i giornalisti e qualsiasi tecnico può scrivere tutte le panzane che vuole se non ha un nome di alta risonanza e se non ha i giornali al suo servizio.

Il caso della Russia che rischia di non partecipare ai Giochi Olimpici è un terribile caso di ignoranza tollerato dai giornalisti ed accettato pure dagli sponsor che si muovono solo nel caso che abbiano grossi interessi in  contrario.

Con l’attuale strutturazione dell’antidoping quando un atleta o una nazione vengono bloccati da questo istituto è un buon segnale per pensare che questo atleta o questa nazione non abbiano puntato molto sull’assistenza medica e sulla farmacologia per giungere al risultato sportivo. Chi investe molti soldi in tal senso (e deve essere ricco perché questi investimenti costano tantissimo) non avrà nessuna noia dall’antidoping attuale, per il semplice motivo che è un antidoping inefficiente che scopre solo i casi di atleti dopati in modo anacronistico, poco accorto e non certamente seguiti da staff medici all’avanguardia. Insomma, come ho sempre sostenuto, vengono pescati positivi solo i “pirla” quelli che non hanno fatto le cose “per bene” che, per fortuna (dell’attuale immagine dello sport di alto livello) o per sfortuna (di un ideale di sport corretto e certamente utile per la salute di tutti gli atleti) sono piuttosto pochi.

I giornalisti non possono o non vogliono smontare l’attuale immagine dello sport di alto livello. In tal senso è opportuno scrivere che l’unica nazione che bara è una nazione che da ormai 24 anni ha smesso di evolversi a livello di trattamento farmacologico degli atleti (da quando ha licenziato 25.000 addetti allo sport che hanno cercato fortuna altrove) oppure che in ambito nazionale l’unico demone è un atleta che ci ha messo la faccia pur di far capire che qualche problemino serio l’antidoping ce l’ha. E non l’ha certamente fatto per sé stesso perché se era per quello sapeva benissimo che il minimo della pena te lo pigli stando assolutamente zitto.

Non c’è nessun interesse a smontare lo sport di alto livello e a mettere in crisi gli sponsor che, giustamente, possono minacciare di scappare da questo se non rimane più un investimento utile. Ciò giustifica un tipo di giornalismo “perbenista” che mira a limitare i danni e ovviamente per sostenere lo sport di alto livello tuona indignato contro quella elitè di malcapitati che sono riusciti a cascare negli imperscrutabili meccanismi della giustizia sportiva.

La giustizia sportiva fa pubblicità a sé stessa ed infierendo contro i malcapitati che non hanno i mezzi per dribblarla dimostra di avere un’alta efficienza.

Questa è la situazione attuale. E’ una situazione  che rischia di storpiare un’Olimpiade in modo inusuale perché se davvero gli atleti russi non potranno prendervi parte sarà una specie di “Brexit” al contrario. Se la prendono tutti con uno stato e lo cacciano via.

La rifondazione dello sport di vertice è un’utopia, qualcosa a livello di miglioramento della giustizia sportiva può certamente avvenire se i giornalisti accettano di mettersi in gioco e se gli sponsor, pian piano, cominciano ad orientarsi verso il sostegno allo sport di base. Se lo sponsor punta tutto su un campione nel momento in cui viene a galla che anche quel campione non è un eroe ma un comune mortale che svolge con dedizione una professione molto complessa dove i compromessi sono all’ordine del giorno e dove il confine fra doping e lecito trattamento farmacologico è molto labile e studiato solo da gente addetta al settore, allora l’investimento colossale su quel campione può diventare improduttivo perché negli spettatori funziona solo l’immagine di eroe intoccabile e non quella di professionista serio ma aiutato in tutti i modi.

Il doping esiste perché fra piazzarsi ed arrivare primo ci possono essere centinaia di migliaia di dollari di differenza. E’ anche per questo che ormai è un doping solo per ricchi. Chi non ha i mezzi molto sofisticati per doparsi è assolutamente inutile che ci provi perché viene bloccato da un antidoping che sanziona in modo netto il doping dei poveri. Non esiste, nella giustizia sportiva, un atteggiamento del tipo “Ma poveraccio questo sta usando le sostanze di trent’anni fa…” Ma piuttosto un bel “Per fortuna che ne abbiamo pigliato un altro, abbiamo dimostrato una volta in più che siamo efficienti e che senza di noi lo sport di alto livello non può andare avanti!” E’ una comica sceneggiata che diventa triste quando l’atleta che casca in questo gioco è rovinato per sempre.

Chi sostiene a spada tratta l’antidoping sentenzia che se non ti dopi non puoi cascare nel novero degli incriminati.  Ciò è certamente vero ma non è lasciando in lo sport in balia della medicina più sofisticata che lo fai crescere nel modo più  sano.

Un tempo era vietato doparsi anche se già allora si sapeva che i controlli erano piuttosto inefficienti. Adesso è vietatissimo doparsi e ti prendono quasi di sicuro se lo fai in modo indiscriminato però è assolutamente tollerato, quasi “consigliato” trattarsi in tutti i modi consentiti dalle leggi antidoping. Praticamente è come se l’istituto dell’antidoping si fosse trasformato da un ente che ti sconsiglia vivamente di prendere farmaci per migliorare i risultati sportivi in un ente che ti indica quali sono le procedure da seguire per migliorare correttamente i risultati sportivi senza risultare positivo all’antidoping.

Sarò ancorato a schemi antichi ma per conto mio se si aderisce ad una filosofia del rifiuto dei farmaci per il miglioramento dei risultati sportivi tale filosofia deve respingere l’idea dell’utilizzazione di tutti i farmaci non solo di quelli elencati in una lista di buoni e cattivi. Anche perché quali sono i buoni ed i cattivi lo sapremo si e no vent’anni dopo visto che molte di queste molecole sono pure di recente scoperta.

E’ un discorso complesso, deve essere affrontato dai giornalisti e deve essere affrontato anche dagli sponsor che non possono continuare ad appoggiare lo sport solo se porta al miracolo ma devono continuare a sostenerlo per il vero miracolo che è in grado di fare che è quello di far crescere una gioventù più sana e praticante più che una gioventù malaticcia che guarda lo sport alla tv.

Uno sport di alto livello veramente pulito non fa distinzione fra vetero-doping e doping moderno, incentiva comunque uno sport senza ausili farmacologici e lo incentiva anche abolendo quella enorme disparità di trattamento economico che esiste fra le star e le comparse di uno sport che richiede comunque a tutti grandi sacrifici doping o non doping. Se chi organizza lo sport ha delle frecce al suo arco per fare in modo che il doping non sia più molto conveniente (e ciò è impossibile se il rimborso spese del primo è dieci volte quello del quarto classificato) deve utilizzarle perché ne va della salute degli atleti. Non vogliamo dei gladiatori ma degli sportivi che abbiano rispetto della loro salute, solo in quel modo potranno fare pubblicità allo sport per tutti.