CARGO BIKE PER CREARE POSTI DI LAVORO

Pare che il limite più difficile da abbattere per creare una nuova mobilità ciclabile sia quello del rischio di creare nuovi problemi alla già moribonda industria automobilistica. Occorre imprenditorialità e capacità di sapersi rinnovare. Se la strada dell’elettrico non pare razionalmente perseguibile in tempi brevi e comunque non è la soluzione decisiva per migliorare la mobilità urbana il cargo bike viene in soccorso a due tipi di problemi: sostituire l’auto anche nei suoi aspetti essenziali che sono la possibilità di trasportare anche oggetti ingombranti (e magari pure un passeggero) e quella di viaggiare senza lavarsi quando piove, questi due aspetti sono quelli che possono offrire uno splendido aggancio di riconversione all’industria automobilistica perché mezzi a pedale con tali caratteristiche sono quasi delle automobili e possono tranquillamente essere prodotti dalle case che producono auto. E’ ovvio che se mettiamo cargo bike e biciclette coperte in mezzo all’attuale traffico regolamentato come se la rivoluzione della mobilità non dovesse mai partire non ne vendiamo che qualche centinaio e non riusciamo certamente a compensare il danno provocato da una ulteriore sensibile contrazione della vendita delle  tradizionali vetture a motore.

Allora se si vuole davvero aprire questo mercato e fornire occasione di riconversione all’industria automobilistica per mantenere i posti di lavoro e, se possibile crearne di nuovi, bisogna fare leggi per lanciare questo rinnovamento. Come si sono sempre fatte leggi in Italia per favorire l’uso dell’auto adesso si tratta di farne per favorire un mezzo di trasporto che può essere prodotto sempre dalla case automobilistiche ma non abbia le limitazioni di diffusione che purtroppo ha ormai l’auto.

Se è vero che il futuro è essenzialmente delle bici elettriche, che possono essere prodotte in modo concorrenziale anche dalle tradizionali ditte di produzione delle bici normali, è anche vero che questo futuro può essere lanciato concretamente da quei mezzi a pedalata assistita un po’ più ingombranti, che potendo viaggiare in modo sicuro e protetto nelle città con nuovi regolamenti sulla mobilità, danno una decisa nuova impronta netta al traffico. Chiamati con altro nome questi mezzi possono anche essere definiti delle vere e proprie auto a pedali e possono avere una grande diffusione proprio in questo momento storico nel quale gli automobilisti non abituati alla bicicletta ci sentono poco all’idea di viaggiare scoperti e su mezzi che non possono trasportare una normale spesa, un cane, un bambino, un anziano o una persona che non può viaggiare in modo autonomo.

Per incentivare la vendita di cargo bike e biciclette coperte in genere basta favorire la possibilità di viaggiare in sicurezza a questi mezzi per tutte le strade della città e “transizione ecologica” vuol dire che fin tanto che non è messa a punto una nuova rete stradale per il transito di mezzi più veloci (le auto tradizionali) le auto devono necessariamente fare i conti nelle loro limitazioni di transito e di velocità, con questa nuova realtà. Oltrettutto è una realtà che congloba anche quella dell’esigenza di nuovi percorsi per le biciclette tradizionali perché dove passa il cargo bike può ovviamente passare anche la bicicletta.

Per cui il futuro resta della bici elettrica, indiscusso mezzo razionale per combattere l’inquinamento, la sedentarietà e per muoversi con agilità nella maggior parte delle città italiane di tutte le dimensioni (con la bici elettrica si attraversano agevolmente anche Roma e Milano, le altre città si “trapassano” in pochi minuti…) ma questo futuro può obiettivamente essere lanciato da un mezzo che non ci faccia rinunciare ai privilegi dell’auto e, non solo, che garantisca anche una possibilità di rilancio all’industria auomobilistica che è boccheggiante, in attesa di una improbabile diffusione in tempi brevi dei veicoli a propulsione elettrica. La rivoluzione verde a colpi di auto elettrica è un po’ poco probabile innanzitutto perché le auto elettriche sono ancora troppo costose e non sono proponibili ad una grande fetta di popolazione per questo motivo, poi perché la filosofia costruttiva di queste vetture ricalca in tutto e per tutto le modalità di utilizzo della tradizionale vettura con motore a scoppio se possibile ingigantendone anche alcuni aspetti problematici quale un accelerazione troppo rapida e veemente nel traffico cittadino che non può essere condizionato da mezzi troppo rapidi e quindi pericolosi per tutti.

Per assurdo, trattando di autovetture di tipo tradizionale in questa transizione ecologica è quasi più sensato promuovere la diffusione di auto a benzina che possono già percorrere 50 chilometri con un litro che si tratta di aver il coraggio di produrre anche se fanno fatica a superare la velocità massima di 70 chilometri all’ora ed hanno un’ accelerazione che è ben altra cosa rispetto alle normali autovetture prodotte fino ad ora. Nella città delle cargo bike a pedali una vettura con motore tradizionale (a benzina o a gas, non certamente a gasolio…) può anche starci se fa 50 chilometri con un litro di carburante perché a quel punto il suo contributo all’inquinamento è piuttosto modesto e non è certamente in grado di “sgasare” in modo sconsiderato. E’ il concetto di protezione delle fasce deboli di popolazione che con opportuni mezzi possono comunque rimanere autonomi in mezzo al traffico ordinario e non creano pericolo a nessuno ovviamente se sono messi nella condizione, con opportuni regolamenti, di non recare danno a nessuno. Una persona anziana che a bordo della sua splendida vetturetta che può tranquillamente fare anche i 70 chilometri all’ora (e quindi per assurdo può immettersi anche nelle tangenziali) si mette a fare i 50 all’ora in mezzo alle biciclette ed ai cargo bike non è un anziano che non si piega alla modernità ma un probabile malato di Alzheimer e allora il concetto di patente alle persone anziane non passa più per una rigida valutazione dei riflessi e dei tempi di reazione, requisito che diventa essenziale solo nel momento in cui ti immetti nel regolare traffico automobilistico, ma per un’attenta valutazione delle capacità cognitive che lo devono mettere in grado di convivere in una nuova realtà urbana dettata  nei ritmi da mezzi più lenti di quelli adottati adesso. Potrebbe sembrare, questa, proprio una politica per favorire anche la mobilità degli anziani anche in tarda età e può esserlo nel momento in cui si mostrano consapevoli di poter usare un mezzo più agile degli altri studiato proprio per loro mobilità senza creare pericoli agli altri fruitori della strada. Dunque fra cargo bike, bici coperte e auto per gli anziani le nostre città potrebbero sembrare degli splendidi campo giuochi con un’aria molto migliore di quella attuale anche nel giro di pochi anni. In una città del genere non è che si gioca e basta e si perde tempo, non è la città ad esclusivo vantaggio dei turisti (anche se i turisti sono proprio una delle categorie a trarne i vantaggi maggiori) si può anche tranquillamente lavorare dove quel “tranquillamente” non è casuale ma centrale in tutto il discorso. Se prima non si cambia la filosofia del lavoro frenetico secondo la quale se non si produce tot, non ha nemmeno senso mettersi a lavorare allora una città “ciclabile” è pura follia perché i “lavoratori” che hanno diritto di lavorare hanno anche il diritto di scorazzare per la città ai 50 chilometri all’ora e pertanto hanno pure il diritto di ammazzare con mezzi che pesano una tonnellata o anche molto di più soggetti che viaggiano ai 15 chilometri all’ora su un mezzo che pesa poco più di dieci chilogrammi.

La pericolosità di un mezzo è data certamente anche dal suo peso. Ti tocca un suv che pesa 2 tonnellate e ti ammazza. Ti travolge un cargo bike che ne pesa 50 più il peso del conducente e pure quello della spesa ed è pure possibile che ti faccia del male ma visto che tale cosa non avverrà a velocità stratosferiche è difficile che ti ammazzi e che ti faccia andare in rianimazione. Diciamo pure che il servizio di ortopedia potrebbe anche rendersi conto degli inconvenienti legati ad una nuova mobilità alla quale non ci si abitua in pochi mesi.

Ecco, in transizione ecologica forse dovremo stare attenti anche alle nuove raccomandazioni degli ortopedici ma insomma non penso che sia il più grande dei freni di una rivoluzione che bisogna aver il coraggio di innescare per salvare cuore, polmoni, arterie ma soprattutto per migliorare la qualità della vita e ridurre lo stress che ci sta pilotando come burattini.